Covid, studio comasco prevede i contagi
Merito dell’algoritmo per i serial killer

Villa Santa Maria coinvolta in una ricerca che aveva anticipato l’evoluzione del virus. Il direttore scientifico della Fondazione: «Le epidemie non hanno un andamento casuale»

Il Covid come un serial killer. Non è solo un’immagine retorica, bensì l’intuizione che ha permesso a un gruppo di matematici e studiosi, tra i quali il direttore scientifico della Fondazione Villa Santa Maria di Tavernerio, di elaborare un algoritmo in grado di prevedere l’andamento di una pandemia.

Una scoperta che, in questi giorni, è stata pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Physica A, specializzata in ricerche nel campo della meccanica statistica applicata al comportamento dei sistemi macroscopici. Pubblicazione recente di un articolo, in realtà, inviato già ai primi di marzo nel quale gli studiosi autori della ricerca avevano già previsto che in Italia il grosso del virus non si sarebbe spostato troppo dal Nord e in particolar modo dalla Lombardia.

L’intuizione da cui questo studio, in realtà in corso da diversi anni, è iniziato è quantomeno originale: «Diversi anni fa - spiega Enzo Grossi, direttore scientifico della Fondazione Vsm di Villa Santa Maria - con il Centro Ricerche Semeion di Roma e con il professor Massimo Buscema, abbiamo utilizzato l’algoritmo nato per verificare l’andamento dei serial killer negli Usa per vedere se si riusciva a utilizzarlo anche per le epidemie, in particolar modo per risalire al punto zero. Diverse prove hanno consentito di ottenere ottimi risultati, ad esempio eravamo riusciti a risalire al caso zero nell’epidemia di escherichia coli in Germania del 2011».

La “foto” al 26 febbraio

Dai primi dati incoraggianti, gli studiosi hanno quindi iniziato a rimaneggiare l’algoritmo riuscendo a invertire l’utilizzo: non più da presente al passato, ma dal presente al futuro: «L’algoritmo si è evoluto con la possibilità di proiettare nel futuro l’evoluzione di un epidemia. Lo abbiamo provato su vari dati ottenuti grazie ai ricercatori in Colorado. Quando si sono registrati i primi casi di coronavirus in Italia - prosegue Enzo Grossi - i ricercatori hanno fatto un fermo immagine al 26 febbraio analizzando semplicemente le località coinvolte. È stata presa in considerazione solo la posizione dei casi, senza tenero conto del numero. E l’elaborazione (come si nota nella foto qui accanto ndr) ha permesso non solo di accertare che il punto zero fosse proprio il Lodigiano, ma soprattutto che non ci sarebbe stata espansione della pandemia oltre al Nord Italia».

La conferma quattro mesi dopo

L’articolo, inviato ai primi di marzo, è rimasto in revisione tre mesi per verificare se la conclusione dello studio sarebbe stata quella reale. E così, di fatto, è stato. La zona rossa maggiormente colpita, stando alle foto delle elaborazioni, è risultata essere quella tra il Sud della Regione (con un coinvolgimento anche dell’area a Nord dell’Emilia) e la zona delle province di Bergamo e Brescia.

«Un risultato importante - conclude il direttore scientifico della Fondazione Vsm - perché conferma una teoria secondo la quale le epidemie non hanno un andamento casuale, e che le localizzazioni dei vari casi hanno un significato. Da quelle posizioni è possibile estrarre un’informazione all’apparenza nascosta, che però già prelude a quello che succede dopo».n 
P. Mor.

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