Fabio, dalla Cina con amore
«Per la mia Como 8500 mascherine»

Comasco, vive a Shenzhen. Da tre settimane rifornisce presidi a ospedali, soccorritori, amici

Il soggiorno della casa a Shenzhen è letteralmente invaso da mascherine protettive. Fabio, assieme alla moglie Sikin («ma lei si fa chiamare Skin») e le loro tre splendide bambine (Allegra, Alice e Alessia) sta preparando le buste da spedire in Italia. «Ad oggi ho inviato verso la mia Como 8500 mascherine. Ma non ci fermiamo. Sappiamo che la situazione in Italia è difficile e noi saremmo decisamente più preoccupati se non ci dovessimo occupare di chi ha bisogno, piuttosto che non avere tempo libero per noi».

Lui è Fabio Coradazzi. Comasco, cresciuto a Cernobbio fino a quando, una quindicina di anni fa, ha iniziato ad andare all’estero a lavorare. Da alcune settimane Fabio e la sua famiglia utilizzano ogni momento libero per comprare presidi di protezione e inviarli ad amici, parenti, ma soprattutto al Sant’Anna, al Valduce, alla Croce Rossa di Cernobbio.

La tragedia in diretta

«Non sono l’unico - si schermisce lui, mentre via whatsapp accetta di raccontare questo suo impegno per la sua provincia - Ci sono tante persone che stanno facendo quello che facciamo noi. Io sono all’interno di gruppi di wechat (il whatsapp cinese ndr) che vedo che chiedono come fare a mandare pacchi in Italia. Io faccio il mio piccolo, ma questo piccolo lo fanno tanti altri».

Fabio vive in Cina dal dicembre 2009: «Mia moglie è cinese. Ci siamo conosciuti quando eravamo entrambi in Spagna. In seguito alla crisi economica tra il 2008 e il 2009 abbiamo deciso di trasferirci, e tra Italia e Cina abbiamo scelto la Cina». Shenzhen, per la precisione, città da 11 milioni di abitanti (ma queste solo le stime ufficiali, quelle ufficiose parlano di 15 milioni) al Sud della Cina, appena fuori Hong Kong. Qui sono nate le tre bimbe di Fabio e Skin: «La più grande, Allegra, ha 7 anni. Le gemelle, Alice e Alessia, hanno tre anni». Lui lavora per l’Artsana. Lei è un’interprete italiano-cinese «ma da quando sono nate le gemelline si prende cura di loro a tempo pieno, in attesa che a settembre comincino l’asilo».

La famiglia Coradazzi il dramma del coronavirus l’ha vissuto fin dai primi giorni dell’emergenza internazionale: «In realtà qui a Shenzhen i contagiati sono stati poco più di 400 - spiega - Wuhan dista mille chilometri da qui». Ma le notizie drammatiche di quello che succedeva nella città dove tutto è cominciato hanno fatto subito il giro della Cina: «Certo, qui la censura c’è, ma è una censura politica. Per il resto le informazioni arrivano e abbiamo visto le immagini degli ospedali pieni che rifiutavano i pazienti, delle infermiere distrutte dalla stanchezza dopo turni massacranti».

Ufficialmente la notizia del virus inizia a circolare il 10 gennaio: «Ma allora il pericolo era poco sentito. Io in quei giorni stavo andando a una fiera molto importante di giocattoli a Hong Kong, e sinceramente non mi sono neppure posto il problema di andare in un luogo tanto affollato. Ho fatto avanti e indietro giornalmente. Il 20 siamo andati con le bimbe a Disneyland Hong Kong. Solo due giorni dopo la Cina ha iniziato a chiudere le aree. Mi ricordo che il 24, la sera prima del capodanno cinese, siamo andati al ristorante per la cena di fine anno e all’ingresso ci hanno misurato la febbre, ci hanno dato l’alcol per lavare le mani. A ripensarci forse è stato un azzardo, ma nessuno immaginava quello che sarebbe successo dopo».

Già, nessuno immaginava. Neppure qui in Italia. In Cina i provvedimenti sono stati drastici: «Noi siamo rimasti chiusi in casa per oltre un mese. Sono tornato in ufficio nei primi giorni di marzo» quando in Italia scoppiava, tragicamente, l’emergenza Covid.

«Quando abbiamo cominciato a sentire le notizie dalla Lombardia, io e mia moglie ci siamo subito preoccupati e abbiamo cercato di capire come si stesse evolvendo la situazione. Ci sentivamo spesso con i famigliari e gli amici a Como e tutti ci dicevano che le mascherine non si trovavano più da nessuna parte e le poche che si trovavano costavano anche 5 euro l’una, quando qui costano 35 centesimi. Alla fine la decisione mia e di mia moglie è stata spontanea: “dobbiamo fare qualcosa”, ci siamo detti».

Anche perché, per quanto paradossale possa essere sentito dire da una persona che parla dalla Cina, «la situazione in Italia è ben più grave di quella che abbiamo vissuto noi. Le notizie, soprattutto dalle province di Bergamo e Brescia, ci hanno sconvolti. Io ho alcuni colleghi di lavoro che, quando in Cina è scoppiata l’emergenza, sono rientrati in Italia. Alcuni di loro ora si trovano in provincia di Brescia». Ma c’è anche qualcosa che Fabio non si riesce a spiegare: «È stato difficile capire perché le persone non riescono a stare in casa. Qua abbiamo visto cos’è successo, le notizie sono girate e sono state sconvolgenti».

Ma la priorità di Fabio e Skin è una sola: aiutare. Ma come? «Qui facebook è bloccato. Ma, in qualche modo, riesco ad aggirare i divieti anche se, confesso, non lo uso mai. Mi vergogno a dirlo, ma non so neppure come si pubblica un post» ride Fabio. Eppure per una buona causa i social possono tornare utili: «Ho messo un messaggio semplice per i miei: “ragazzi, chi ha bisogno me lo dica, nel mio piccolo qualcosa faccio”. Anche perché io, le mascherine, le compro alla farmacia sotto casa, inoltre sono in contatto con delle fabbriche». Dopotutto la Cina è il Paese dove si produce il 70% delle mascherine di protezione di tutto il mondo.

C’è posta per te

«Qui nei primi giorni a gennaio, è stato un disastro. Avere una mascherina era difficilissimo, anche perché era il periodo del capodanno cinese. Per fortuna qualcosa in casa avevamo, perché qui quando hai il raffreddore la mascherini la usi regolarmente». Da quel post su facebook, sono passate tre settimane. E di mascherine verso l’Italia Fabio ne ha già mandate 8500. Le ha inviate a Samantha Mattaliano, parrucchiera di Cernobbio che si sta dannando l’anima per recuperare presidi di autoprotezione per Sant’Anna e Valduce, le ha inviate alla Croce Rossa di Cernobbio, le ha inviate ad amici e parenti: «Io sono qua, dico a tutti. Datemi qualche giorno, le compro e le spedisco. Mia moglie, con l’aiuto delle bambine, impacchetta tutto la sera. Il giorno dopo, il pomeriggio, arriva il corriere e partono per l’Italia». Fabio la fa sembrare semplice. E forse lo è, quando la generosità è una dote naturale.

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