’Ndrangheta, quella piovra che arrivava fino a Zurigo

“Cavalli di razza” Le motivazioni della sentenza sulla Locale di Fino. Dimostrati i contatti con la Svizzera per lo spaccio degli stupefacenti

«Non stiamo parlando di un ulteriore gruppo riunito in Locale» che si occupava delle attività in territorio elvetico, «ma della stessa Locale di Fino Mornasco che estendeva la sua operatività» anche in Svizzera, arrivando fino a Zurigo. Una Locale, quella della nostra provincia, che avrebbe aperto attività soprattutto «nel traffico degli stupefacenti che venivano introdotti dall’Italia».

Ne sono convinti i giudici del Collegio di Como, presieduto da Valeria Costi con a latere Veronica Dal Pozzo e Maria Elisabetta De Benedetto, che hanno dedicato ampio spazio alla questione dei rapporti della Locale di Fino con la Svizzera che era sotto il loro controllo. Almeno undici gli uomini della malavita attivi, con i classici poteri di intimidazione e di controllo del territorio che contraddistinguono le associazioni criminali di stampo mafioso.

Imprenditori e non solo

Le pagine di cui stiamo parlando sono contenute nelle motivazioni della sentenza “Cavalli di Razza”, pubblicate in questi giorni per spiegare i perché delle otto condanne (in Tribunale a Como) per presunte attività illecite legate alla ’ndrangheta che avvenivano nella nostra provincia, soprattutto nell’area di Fino Mornasco, Cadorago, ma anche della Bassa e della Brianza.

Una piovra che aveva imbrigliato e stritolato anche diversi imprenditori del territorio e aziende di grandi dimensioni. Ma tra gli affari della Locale di Fino Mornasco, il più remunerativo era senza dubbio quello nel campo degli stupefacenti con un’area di egemonia che andava anche ben oltre il Confine di Stato, arrivando fino a Zurigo.

Tanto che proprio per le attività di spaccio che erano state portate avanti nei pressi di un bar vicino alla stazione di Zurigo, il boss aveva dovuto fare uno dei suoi interventi per riportare la calma. Alcuni sodali infatti lamentavano il fatto che spacciare vicino al bar – da loro controllato – avrebbe potuto attirare l’occhio delle forze di polizia: «Questi movimenti non li vogliamo», si sente in una intercettazione. E la risposta di quello che per i giudici «era l’unico titolato ad intervenire», ovvero il reggente della Locale in territorio svizzero, fu eloquente: «Se prima non lo facevano, adesso non lo devono fare nemmeno».

Secondo i giudici di Como, nella propaggine elvetica della Locale di Fino Mornasco, sarebbero presenti tutte le caratteristiche tipiche della malavita organizzata: stiamo parlando del già citato «controllo del territorio» e, come abbiamo visto, «della guida degli affari illeciti da parte del capo che dirime i contrasti insorti nel gruppo».

Ma la Locale provvederebbe anche alla «raccolta del denaro per i bisogni economici dei detenuti», circa 1500 euro al mese a famiglia, e pure le «affiliazioni da portare avanti erano ben presenti alle figure di riferimento della Locale di Fino».

Lo sconfinamento

Le indagini hanno anche documentato una delle “mangiate” (organizzate per dirimere le controversie) proprio a Zurigo (il 30 maggio del 2020), mentre generalmente le altre si tenevano in Italia.

Insomma, per il Collegio di Como era «stretto il collegamento tra la Locale di Fino Mornasco e il territorio svizzero», uno «sconfinamento che aveva l’obiettivo di commettere reati-fine» come lo spaccio e che dimostrerebbe senza alcun dubbio «l’operatività della Locale comasca anche sul versante elvetico».

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