Como: anziani, la fine a casa
«Portarli in ospedale
è farli morire soli»

Tanti casi di decessi nelle abitazioni.Il medico: «Dopo il ricovero avrebbero solo palliativi. Con i parenti decidiamo di lasciarli in famiglia»

I decessi per Covid registrati negli ospedali, dal Sant’Anna al Valduce, non sono la totalità. Una parte non minoritaria di persone positive abbandona questa terra rimanendo nel letto di casa. Succede soprattutto ai grandi anziani, già malati, affetti per anni da patologie pregresse.

Se non ci sono speranze

Questo succede se la famiglia è d’accordo e se il medico di base, sapendo che non è possibile fare altro, è intenzionato ad assumersi la responsabilità per evitare a queste persone di affrontare degli ultimi dolorosi giorni. Da soli, senza affetti vicini, tra ambulanze e Pronto soccorsi, attaccati alla macchina della ventilazione forzata senza possibili prognosi favorevoli. È difficile quantificare ed avere una stima dei malati positivi che ci lasciano senza entrare nei reparti degli ospedali.

A sentire però le principali imprese funebri di Como città sono molte le bare dei comaschi che nel mese di novembre sono state preparate a casa e non sono invece uscite dalle porte dei nosocomi. Oppure, tante altre volte, dalle residenze per anziani nuovamente colpite dalla pandemia.

I medici di famiglia confermano, pur cercando con delicatezza di affrontare un tema sicuramente sensibile. «Davanti ad un paziente molto anziano e malato, allettato, con un tampone positivo ed una polmonite bilaterale in corso – spiega il dottor Marco Fini, medico di medicina generale in città – difficilmente in ospedale è possibile fare qualcosa. Se c’è uno spiraglio allora bisogna di sicuro inseguirlo. Ma, altrimenti, la morfina ed un po’ di ossigeno si possono dare anche a casa. È un argomento delicato. Bisogna certamente che i parenti siano d’accordo. Figli e consorti devono essere i primi a volerlo. Il rapporto umano ha un grande valore. Spostare un profilo molto fragile prima in ambulanza e poi in ospedale può risultare inutile». E aggiunge: «Mandare una persona con una condizione di salute comunque appesa ad un filo significa lasciarlo solo, non vederlo più. Con la difficoltà di spiegare, di motivare, di salutare. Invece c’è chi preferisce spegnersi senza soffrire a casa, tra le proprie quattro mura, con qualcuno accanto che ci vuole bene e che, con le dovute precauzioni, ci dice arrivederci». Tra ottobre e novembre per Covid nel comasco sono spirate circa 500 persone. Al Sant’Anna nello stesso periodo 141 pazienti positivi. Bisogna aggiungere i decessi pianti al Valduce, all’ospedale di Erba, nelle Rsa, ma è chiaro che in alcuni casi l’ultimo saluto è avvenuto a casa.

Tema molto sensibile

A margine c’è anche il tema delle cure palliative, altro tasto delicato. Per i medici è spesso importante capire quanto avanti queste cure possono condurre le persone. Ci sono da valutare la speranza e la dignità delle persone. Il tema del fine vita è da sempre molto caro al direttore dell’istituto Mario Negri Giuseppe Remuzzi, ben prima dell’arrivo della pandemia. «Possiamo andarcene in maniera dignitosa senza provare a lungo dolore» aveva in passato spiegato il professore.

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