I medici contro il sistema sanitario
«Non c’è stata alcuna prevenzione»

Il dopo Covid a Como. Ordinaria inefficienza: c’è chi è rimasto in autoisolamento senza tampone. E chi invece è stato segnalato come “positivo” senza in realtà avere mai eseguito alcun test.

Le ripetute richieste di poter ottenere dati, numeri, notizie, informazioni rivolte all’Ats Insubria sono sempre cadute nel vuoto. Una strategia del silenzio che non ha certo evitato il disastro che si è consumato, in questi mesi, sotto i nostri occhi. Ma quel che è peggio è che i silenzi e le mancate risposte non hanno riguardato solo la stampa, ma anche e soprattutto i malati. Una delle tante storie di mancate risposte da parte di Ats è quella di Roberta Beretta, comasca, madre di un’educatrice in una comunità.

Un mese dopo il Veneto

A metà marzo la figlia comincia ad avvertire i primi sintomi: nella comunità dove lavora, infatti, in diversi si sono già ammalati. «A quel punto Ats chiede i nominativi del personale - spiega la signora Beretta - ma nessuno in due mesi è stato chiamato». La figlia quindi scrive ad Ats, spiegando di essere a casa in malattia con i sintomi da Covid, ma nessuno le risponde. Soltanto quando le sue condizioni si fanno più serie e una tac conferma la polmonite da coronavirus, alla giovane viene fatto il tampone. Quaranta giorni dopo i primi sintomi, arriva il risultato: positiva al Covid. «Ats chiama mia figlia e a questo punto abbiamo le indicazioni scritte per l’isolamento, fornite dall’ospedale. Ats chiede i nominativi dei familiari conviventi, ma noi dal 22 aprile non siamo mai stati contattati». La situazione si sbloccherà soltanto a cavallo tra maggio e giugno. Due mesi e mezzo dopo i primi sintomi.

Al 12 aprile la nostra provincia raggiunge la percentuale di tamponi che il Veneto aveva elaborato esattamente un mese prima: 9 comaschi su mille sottoposti al test. Nel resto della Lombardia la media dei tamponi, nella stessa data, è esattamente il doppio: 18 persone sottoposte ad analisi su mille lombardi. E in Veneto? Più del doppio della Lombardi. 40 per mille.

La denuncia dei medici

Anche la Federazione degli Ordini dei medici della Lombardia formalizza la propria rabbia verso la gestione dell’emergenza. E in un documento inviato alla Regione contesta:

1.La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. Il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti.

2.La gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite.

3.La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti ecc.).

4.La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere

Volendo ben vedere, un disastro su tutta la linea. Un disastro pagato a caro prezzo non soltanto sul fronte della prevenzione al virus, ma anche su quello della gestione delle persone in quarantena.

Eva Savoldelli è un’educatrice professionale in un istituto per disabili. Abita ad Albiolo. Agli inizi di marzo comincia a star male: niente febbre, ma perdita di olfatto e gusto, sintomi tipici legati al virus. Il timore del contagio si è fatto ancor più grande dopo aver saputo che nell’istituto dove presta servizio era stato registrato un caso di Covid.

«Il 12 marzo - racconta - ho subito avvisato l’Ats. Mi hanno richiamata il giorno dopo, dicendomi di stare a casa in quarantena. Dopo non li ho più sentiti». E quando Eva Savoldelli dice “mai più”, intende proprio questo. E non si fosse attivata lei per chiedere un tampone di verifica, forse oggi sarebbe ancora in quarantena. Ma torniamo al 12 marzo. «La spesa me la portava mia mamma lasciandomela fuori dalla porta di casa. Dopo dieci giorni, dal Comune mi hanno informata del servizio spesa e farmaci e si sono pure scusati dicendo che avevano ricevuto tardi la comunicazione che ero in quarantena da parte di Ats». Dunque: non solo l’Ats Insubria non si è attivata per far fare i tamponi all’educatrice di Albiolo, ma neppure ha segnalato per tempo al centro operativo comunale della quarantena, omettendo così di attivare i servizi di assistenza previsti.

«Ats è latitante»

Un problema, quello delle comunicazioni lente da parte di Ats, sollevato anche da alcuni sindaci. Come ad esempio Simone Moretti, primo cittadino di Olgiate Comasco: «Ats è troppo latitante su questo pezzo. Il rischio concreto di non avere in tempo reale quante persone o interi nuclei familiari siano in quarantena impedisce a noi di poter intervenire prontamente con i servizi attivati (spesa, medicinali e raccolta differenziata). Ma soprattutto passa un messaggio di “disinteresse”, o di “essere stati lasciati da soli” da parte del Comune e del Centro operativo comunale che non può esistere in un periodo di emergenza».

Ma torniamo a Eva. L’educatrice di Albiolo resterà in casa in quarantena per 57 giorni. Soltanto il 28 aprile, infatti, viene finalmente convocata per un tampone di controllo in un parcheggio a Erba. E il 29 richiamata per il secondo tampone di verifica. Ma pure per avere l’esito sarà costretta ad aspettare: «quello del primo tampone è arrivato dopo otto giorni e del secondo dopo nove giorni». Con buona pace della tanto conclamata efficienza sanitaria lombarda.

C’è poi chi, dopo aver convissuto con tutti i sintomi del virus, si è ritrovata nel dilemma: e adesso come faccio a ricominciare a lavorare? È la storia di Veronica Valsecchi, 30 anni, originaria di Carate Urio e residente a Como. Il 14 marzo inizia a star male il suo compagno. Dopo pochi giorni tocca a lei. Che sintetizza: «Venti giorni di febbre e tutti i sintomi del coronavirsus, dal mal di testa alla tosse al punto di non sentire più nè gusti nè odori. Siamo stati segnalati all’Asl non so quante volte sia dal nostro medico sia dalla guardia medica. Ma non ci fanno nessun tampone, a meno che si abbiano crisi respiratorie forti. Ma io chiedo, come fa una persona a riprendere a lavorare il 4 maggio senza sapere se è ancora positivo o meno, e se rischia di infettare altre persone? Io non so più cosa fare».

Il tampone fantasma

Per una serie di pazienti dimenticati, una messa in quarantena per sbaglio.

Nella seconda settimana di aprile, il telefono di Paola Cantoni, di Albavilla, si mette a suonare all’improvviso: «Buongiorno signora Cantoni, qui è l’Ats. La contatto perché è risultata positiva al tampone Covid e quindi...». Sul “e quindi” la diretta interessata, dopo un istante di disorientamento, blocca l’interlocutrice: «Guardi, ci dev’essere un errore, io non ho mai fatto alcun tampone». A quel punto, per essere sicura, l’operatrice inizia a elencare non solo nome, cognome, data di nascita e luogo di residenza, ma anche il nominativo del medico curante. Come dire: vede? Tutto corretto. E invece no. All’ennesima rimostranza della diretta interessata l’operatrice ha compreso che forse sì, c’era stato un errore: «Mi scusi, io l’avevo nella lista».

Convinta che tutto fosse risolto, la donna di Albavilla si sarebbe dimentica presto dell’incidente non fosse che, il giorno successivo, alla porta di casa si sono presentati gli agenti della polizia locale per verificare che stesse rispettando la quarantena obbligatoria. Ats Insubria mentre da un lato attivava la propria operatrice per contattare la paziente, dall’altro ha infatti segnalato la presenza di un nuovo caso da quarantena al centro operativo comunale, mettendo in moto così i controlli obbligatori sul rispetto del divieto di uscire di casa. E dimenticandosi, ovviamente, di annullare la segnalazione una volta scoperto l’errore.

Laconica e, come sempre, lacunosa la replica della stessa Ats: «A volte si registrano casi di omonimi nelle anagrafiche, come nel caso della signora di Albavilla. Verificati, si provvede a toglierli». Punto.

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