Kirk Douglas addio
“Spartacus” anche nella vita

Cinema: a 103 anni si è spenta la leggenda di un interprete (ma anche regista e produttore) che ha solcato l’intero universo hollywoodiano

Anche la longevità - Kirk Douglas se ne è andato l’altro giorno a 103 anni compiuti - ha contribuito alla leggenda di un interprete che ha solcato l’universo cinematografico hollywoodiano, la stagione di “Hollywood sul Tevere” compresa.

Dire interprete, per quanto si tratti di una della massime star della Hollywood degli anni d’oro, è peraltro riduttivo: uomo di cinema militante, Douglas è stato anche regista, ma soprattutto produttore indipendente nel clima feroce, di isteria collettiva e sospetto, del maccartismo, restituendo tra l’altro la firma allo sceneggiatore Dalton Trumbo nei titoli di “Spartacus” che interpreta da protagonista nell’ardua conciliazione di esigenze dello spettacolo e di ideale.

“Spartacus” è compiuto esempio delle scelte produttive di Kirk Douglas: soggetti illuminati e progressisti, coraggio fino alla temerarietà, determinazione tale da non esitare a protestare un regista, sostituendolo, nel caso, con Stanley Kubrick. E già si entra nella storia del cinema, con pronta conferma nei nomi dei registi: da Michael Curtiz a William Wyler, a Billy Wilder, Howard Hawks, Richard Fleischer, King Vidor, Vincente Minnelli, John Sturges, Robert Aldrich, John Huston, Otto Preminger, Anthony Mann, René Clément, Elia Kazan.

Un vero albo d’oro nel centinaio di pellicole dove spesso raccoglie sullo schermo la sfida dei maggiori interpreti coevi: più volte Burt Lancaster, e Anthony Quinn e John Wayne; ma anche Arnold Schwarzenegger e Michael Douglas, di cui figura giusto come padre in “Vizio di famiglia” realizzato da Fred Schepisi nel 2003 dove, patriarca, non vuole rassegnarsi alla propria mortalità. In effetti, Kirk Douglas ha condotto pressoché fino all’ultimo una vita attiva: figlio d’immigrati d’orini russe, si era pagato gli studi mettendo a frutto le sue doti di lottatore, da cui quel fisico che da attore gli ha consentito di scolpire personaggi spesso ruvidi, fin da “Le catene della colpa” (1947), poliziesco in bianco e nero di Jacques Tourneur che contrappone Douglas a Robert Mitchum in un memorabile confronto.

Nel “Grande campione” (1949) Ruvidezza e tormento, come quello, in “Chimere” (1950), di un jazzista, o del detective Jim McLeod che in “Pietà per i giusti” (1951) in punto di morte chiede perdono per la sua inumana severità. E cinismo che lo stesso Billy Wilder riconosce di avere posto nel suo “Asso nella manica” (1951) dove Douglas è il giornalista newyorchese Chuck Tatum che preferisce montare uno scoop anziché soccorrere un uomo rimasto intrappolato («Ma alla fine - si giustificava Wilder - per avere aspettato un giorno di troppo la paga molto cara»).

Del resto nel “Grande campione” (1949) di boxe nel suo personaggio Douglas esprime un delirio di onnipotenza che lo condurrà a farsi boia di se stesso, mentre nella straordinaria versatilità che lo ha contraddistinto è convincente tanto nei western (“Il grande cielo” del 1952, “L’uomo senza paura” del 1955) quanto sul fronte dell’avventura: diretto da Richard Fleischer è l’irruente Ned Land in “20.000 leghe sotto i mari” (1954) e Einar, personaggio dal quale promana una brutale bellezza nordica in “I vichinghi” (1958).

In mezzo, però, ci sono altre opere decisive. A cominciare da “Brama di vivere” (1956) dove Douglas è come posseduto dal ruolo e compone una figura di Vincent Van Gogh via via cupa e luminosa, timida e bizzarra, vitale e distruttiva. Dopo lo scontro il Gauguin di Anthony Quinn si recide un precchio: pare addirittura un doppio fisico del pittore, in capo il cappello di paglia del maestro di Arles. Un’interpretazione considerata definitiva sul grande schermo. E, capitale, “Orizzonti di gloria” (1957), primo incontro con Kubrick che descrive le esecuzioni sommarie dopo gli ammutinamenti sul fronte francese nel 1917.

Douglas incarna il colonnello Dax che tenta vanamente di salvare i soldati, un manipolo, estratti a sorte, giudicati dal tribunale militare e fucilati “per dare l’esempio”. Con Kubrick occorre riprendere “Spartacus” (1960) dove Douglas non è un qualunque muscoloso eroe in costume romano, ma uno stratega militare e politico. Un capo, tanto più trascinante quanto più sa di essere perdente.

L’interprete ne ribadisce la romantica disperazione, Kubrick preme sulla potenza della Storia: per entrambi Spartacus è un testimone, dopo lui altri oppressi riprenderanno a battersi.

Douglas assegna la personaggio una brutalità “americana” che va di pari passo con il suo intento, da produttore, di sovvertire il genere nel segno della rivolta, già epica, del resto, in “Orizzonti di gloria”.

Là colonnello, Douglas ha vestito la divisa in una piccola serie di film: nel 1964 in “Sette giorni a maggio” è un colonnello che sventa il progetto atomico di un generale Usa, in “Prima vittoria” un maggiore e in “Parigi brucia?” (1966) nientemeno che il generale George S. Patton, seppure “disperso” in un’impressionante lista di personaggi e interpreti. Sono da considerare anche i film che s’ambientano nel mondo del cinema: nel sontuoso “Il bruto e la bella” (1952) Douglas è un produttore determinato a salvare l’impresa ereditata dal padre, il titolo del film riassume i sentimenti, tra odio e fascino, che ispira tutto attorno un personaggio pronto a qualunque tradimento pur di raggiungere l’obiettivo. Ma è di tale capacità visionaria che anche coloro che ah già tradito soccombono al suo carisma.

In “Due settimane in un’altra città” (1962) Kirk Douglas è un attore in crisi, finalmente scritturato per un film che si gira a Roma. E a Roma nel 1954 Douglas sarà protagonista, per Mario Camerini, di un “Ulisse” che presta al personaggio un’umanità posta al servizio dell’intelligenza dell’attore. Kirk Douglas non esibisce solo fantasia e muscoli, riesce ad essere “l’Ulisse di Omero”, diviso tra invincibile spirito d’avventura e desiderio di irrinunciabile ritorno. Ancorché scelto dopo non poche esitazioni, ha costruito in quel ruolo uno dei suoi più notevoli personaggi, per quanto numerosi, dalla commedia alla fantascienza, essi siano stati.

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