«Quegli angeli dell’ultimo miglio. Fino alla fine vicini al mio Marco»

Il racconto Da Capiago una storia che racconta molto dell’importanza del “caregiver”. «Prendersi cura di qualcuno è difficile: rete sociale, amici e famiglia sono fondamentali»

«Abbiamo vissuto in una bolla. Avevo scelto di prendere l’aspettativa dal lavoro. Per me era importante trascorrere con Marco tutto il tempo che rimaneva. Era difficile che mi allontanassi da casa, non avrei voluto perdere nemmeno un attimo. Ma allo stesso tempo la nostra casa è diventata un luogo dove passava tanta gente. Ho cercato di far entrare la malattia nel nostro quotidiano e di modificare la nostre abitudini, creare nuove ritualità, lasciando sempre però aperta la porta a chi voleva venirci a trovare».

«Prendersi cura di qualcuno è complesso, la rete sociale, gli amici, i familiari sono fondamentali per farcela e non sentirsi soli. Da solo non ce la fai». Vittoria Livio, 58 anni, di Capiago Intimiano, è stata accanto al marito Marco Arnaboldi dal primo momento della diagnosi fino all’ultimo tratto della sua esistenza.

Marco ha affrontato un tumore al cervello molto aggressivo che in pochi mesi non gli ha lasciato scampo. Anche dopo l’operazione chirurgica, avvenuta nella primavera del 2022, la malattia si è ripresentata con violenza, tre volte più forte e invasiva di prima. Marco ad ottobre dello stesso anno è scomparso.

Una corsa contro il tempo

«È accaduto tutto molto velocemente - racconta Vittoria - Una corsa continua contro il tempo, in cui da subito, a me e a mia figlia, Mara, è stato chiaro che Marco voleva vivere la malattia a casa. Lo chiedeva con gli occhi, anche quando era ancora convalescente in ospedale, dopo essersi sottoposto all’intervento e non riusciva a comunicare con le parole. E così ho fatto, perché era anche un mio desiderio il prendermene cura in prima persona».

Il caregiving di Vittoria è durato mesi intensi e spesso difficili.

«A casa ero sola, ma Mara, nonostante viva a Milano, si è dimostrata insostituibile, trascorrendo tutti i weekend con il papà e pure le sue vacanze estive. Da parte mia, non ho mai voluto una persona fissa in casa, mi sono sempre gestita con una donna che ha accettato di venire incontro alle nostre esigenze: quattro volte al giorno si recava da noi per aiutarmi ad alzare e mettere a letto Marco. Siamo diventate amiche e la ringrazierò sempre per la vicinanza. Poi c’è  stato l’aiuto preziosissimo dei volontari dell’associazione Il Mantello che non mi hanno mai abbandonata: mi hanno seguita con un supporto operativo nella somministrazione delle cure palliative, ma anche, grazie alle psicologhe, con un supporto emotivo. Il loro telefono era sempre disponibile ad accogliere le mie chiamate. Ed inoltre mi hanno indirizzato ai vari servizi territoriali che potevano fare la differenza nella nostra situazione».

Un desiderio rispettato

I momenti di sconforto non sono mancati: «Ammetto di aver pensato di non farcela. In certi passaggi, la malattia si era così aggravata, che abbiamo pensato al ricovero. Ma Marco voleva morire a casa sua e alla fine, in qualche modo, abbiamo resistito e siamo riusciti a superare anche quelle criticità che all’inizio ci sembravano troppo grandi».

«Accudire una persona al proprio domicilio non è una cosa per nulla semplice, richiede risorse fisiche ed emotive importanti. Io posso solo dire che Mara è stata il mio braccio destro e che il Mantello la mia seconda famiglia, non hanno assistito solo Marco, hanno fatto sentire anche me parte di un prendersi cura umano e professionale che non scorderò mai».

«Anche in un periodo così doloroso della mia vita - conclude Vittoria Livio - ho scoperto attimi di bellezza nel vedere accanto a me persone che mi hanno aiutato con dedizione. Il passaggio di un volto amico a casa è sempre stato un conforto».

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