«Condannate Riella a dieci anni». La Procura non ha dubbi sulla rapina

Gravedona I l processo e la richiesta per i fatti di Consiglio di Rumo a danno di due anziani. Per la difesa quella sera l’ex fuggiasco era uscito per prendere la moto. Sentenza il 12 ottobre

Dieci anni. È la richiesta di condanna avanzata ieri mattina dal pm Alessandra Bellù per la rapina ai danni di due anziani di Consiglio di Rumo per cui era stato arrestato Massimo Riella, 49 anni di Brenzio. È stato questo il momento cardine dell’udienza in Tribunale a Como che ha chiuso la requisitoria della pubblica accusa e lasciato spazio all’arringa della difesa con l’avvocato Roberta Minotti. Sul tavolo due ricostruzioni all’opposto, cui toccherà ora al Collegio presieduto da Valeria Costi dare una risposta definitiva. La sentenza verrà letta nella giornata del 12 ottobre.

Indagini ed elementi

Ieri il pm ha ripercorso le fasi delle indagini, infilando uno dopo l’altro gli elementi che portano a chiedere la condanna di Riella a partire dagli «orari indicati dalle vittime della rapina, poi riscontrati dalle immagini delle telecamere che riprendono Riella vicino alla loro casa».

L’accusa ha fatto notare un secondo particolare: «Il rapinatore scavalcò una ringhiera che era posta la primo piano della casa e anche per scappare si lanciò dal balcone. Noi, in questi mesi, abbiamo avuto modo di rilevare l’agilità dell’imputato». Ed il riferimento è stato alle due evasioni rocambolesche, la prima lanciandosi proprio dal primo piano della sua casa per non venire preso dai carabinieri, la seconda – che ha reso il quarantanovenne celebre in tutta Italia – per quella dal cimitero di Brenzio quando era andato a pregare sulla tomba della madre.

Il Dna sulla mannaia

Il pm ha poi parlato dei due stranieri che videro Riella subito dopo il presunto colpo, dandogli un passaggio: «Ci hanno detto in aula che aveva la faccia coperta quando lo videro, e che quel giorno ebbero la netta percezione che Riella stesse scappando da qualcosa».

Poi, inevitabile, il passaggio sul Dna trovato sulla mannaia recuperata dai carabinieri nella casa delle vittime: «Non può essere una casualità la presenza del Dna dell’imputato su quell’arma, assieme al Dna delle due persone offese». Il pm ha poi chiuso chiamando in causa proprio Riella: «Se davvero fosse innocente, perché aspettare così tanto a dirlo? Perché non farlo subito? Perché non nei quattro mesi di latitanza, dove anzi stava preparando una ulteriore fuga? Semplicemente perché ha cambiato la sua versione in continuazione in base a quanto emergeva dalle indagini».

L’orario e la televisione

La parola è poi passata alla difesa che ha fornito una ricostruzione completamente all’opposto «ma partendo dagli stessi elementi racconti dalle indagini». «Riella quella sera – ha detto l’avvocato Minotti – era solo sceso per recuperare una moto che non andava più e che era nei pressi della casa dei due anziani. Ed inoltre la rapina non può essere collocata nell’orario che indica la Procura. Era ancora chiaro, ce lo dice la vittima, e la televisione, che veniva accesa sempre intorno alle 20, era spenta. Inoltre, la vittima parlò di un uomo alto un metro e 60, mentre Riella è un metro e 90»

Poi la chiosa: «Riella vive da sempre nell’illegalità. Non mette il casco, guida senza patente, non lavora e non credo sappia cosa sia una dichiarazione dei redditi. Ma ha sempre ammesso le sue colpe. Questa volta no, e io gli credo».

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