Il rogo di 432 ettari al Dosso Brento: due allevatori, padre e figlio, finiscono a processo

Garzeno I due uomini di Dongo accusati dell’incendio che ha distrutto pascolo bosco e cascina nel 2019

Due allevatori di Dongo, padre e figlio, sono accusati dalla Procura di Como di aver appiccato – il primo come presunto esecutore materiale, il secondo come sospetto concorrente morale – l’incendio che nel mese di marzo del 2019 aveva divorato 432 ettari di montagna, nella zona del Dosso Brento di Garzeno, in parte mandando in fumo pascoli e in parte boschi.

Un rogo che si sviluppò il 25 marzo e che costrinse la squadra antincendio della Comunità montana e i vigili del fuoco di Dongo a lavorare – con i volontari – per quattro lunghi giorni per poter aver la meglio delle fiamme.

Ad andarci di mezzo fu anche una cascina di proprietà di una donna di Garzeno, 70 anni, che venne distrutta dall’incendio. Motivo per cui, nelle accuse mosse dalla procura, si fa presente anche il «pericolo per le persone» successivo proprio a quel rogo che venne appiccato per «accensione diretta» e in «diversi punti della montagna».

Le indagini

Le indagini partirono da un’auto vista da un testimone sui luoghi dell’incendio – una Fiat Panda – e poi da intercettazioni ambientali fatte nel corso delle indagini che permisero alla procura di raccogliere elementi che sono stati ritenuti idonei a portare a processo i due imputati, Walter Graziano Gobba, 64 anni, e il figlio Omar di 42 anni.

I due sono difesi dagli avvocati Giuseppe Sassi e Walter Gatti. Il pubblico ministero che sta seguendo il fascicolo è Giuseppe Rose mentre il giudice chiamato a decidere sulla eventuale responsabilità di padre e figlio è la dottoressa Valeria Costi.

Ieri in aula sono sfilati una parte dei testimoni, compresi i vigili del fuoco che operarono in quel contesto problematico e la signora proprietaria della cascina distrutta dal fuoco. Da segnalare tuttavia che non ci sono parti civili costituite.

Decisivo per l’esito del processo sarà comunque la prossima udienza, fissata per il gennaio del 2024, quando in aula saranno chiamati a testimoniare non solo gli uomini dei carabinieri forestali che portarono avanti le verifiche successive al rogo, ma anche il testimone che, come detto in precedenza, vide appunto sul posto l’auto da cui poi ebbero abbrivio le indagini.

Reato di incendio boschivo

Nel fascicolo del pubblico ministero erano finiti anche i rapporti di intervento dei vigili del fuoco stilati nei giorni dell’incendio, oltre alla denuncia querela formalizzata, all’indomani dell’incendio, dalla proprietaria della cascina distrutta dalle fiamme. Il reato che viene contestato a padre e figlio è quello dell’incendio boschivo.

Secondo la tesi accusatoria, respinta dalla difesa, il fuoco sarebbe stato appiccato materialmente dal padre mediante «l’accensione diretta e in diversi punti» che distrussero complessivamente 432 ettari di superficie, ovvero 104 ettari di «bosco di caducifoglie» e il resto a pascolo, fiamme che furono spente solo quattro giorni dopo.

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