Iniziato in Tribunale il processo a Massimo Riella. «Non ho rapinato quei due anziani»

Gravedona In aula il protagonista della clamorosa evasione. Si difende con una lettera inviata a un’emittente tv

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«Massimo Riella è contento che sia finalmente iniziato questo processo, è quello che attendeva da tempo. E’ quello per cui tutto è iniziato...». A parlare è l’avvocato Roberta Minotti, il legale che assiste l’uomo di 49 anni dell’Altolago diventato celebre in tutta Italia per una clamorosa evasione che risale ad un anno fa quando, con la scusa di farsi portare a pregare sulla tomba della madre del cimitero di Brenzio, era evaso scappando nei boschi e facendo perdere le proprie tracce per mesi. La latitanza si concluse solo in Montenegro tempo dopo. Riella era finito nei guai in quanto sospettato per una rapina ai danni di una coppia di anziani che ha sempre sostenuto di non aver commesso. E a suo dire quell’evasione rocambolesca era stata pianificata proprio per cercare prove che lo scagionassero che però ad oggi non sono arrivate.

Ora è arrivato quel momento, quello in cui dovrà dimostrare al Collegio presieduto da Valeria Costi (a latere Dal Pozzo e Lombardi) che lui era davvero innocente, nonostante il suo Dna trovato sul coltello utilizzato dal rapinatore e trovato all’interno dell’appartamento dei due anziani vittime dell’assalto.

Una prova di non poco conto che si unisce ad altre che erano state messe in fila dai carabinieri. Rapina che risale al 9 ottobre del 2021 a Consiglio di Rumo.

Nessuno si è costituito parte civile nel processo che si è aperto ieri con le questioni preliminari e con la lista testi ammessa che riguarderà (complessivamente tra procura e difesa) almeno una trentina di persone. Si partirà con i carabinieri della Compagnia di Menaggio che condussero le indagini che verranno sentiti in una udienza fissata per l’8 di giugno, e si proseguirà poi il 29 giugno e il 6 luglio. Tra i testimoni figurano anche il padre di Riella e la ex compagna. L’indagine era stata coordinata dal pubblico ministero Alessandra Bellù, lo stesso pm che ha sul tavolo anche il fascicolo della clamorosa evasione del cimitero di Brenzio.

Riella ieri mattina era in aula, jeans, maglietta scura e giacca, con lunghi e folti baffi che già aveva mostrato nei giorni dell’arresto in Montenegro. «E’ contento che sia iniziato il processo – ha ribadito al termine l’avvocato – E’ quello che attendeva da tempo. Come l’ho trovato? Mi ha detto che la notte prima non ha dormito, per mettere a fuoco alcuni dettagli importanti per questo processo che gli sono venuti in mente». Dettagli che attendono di conoscere anche i giudici.

Riella non ha parlato solo tramite il proprio avvocato ma anche direttamente con una lettera inviata alla trasmissione “Iceberg” di Telelombardia. «Spero di riuscire a dimostrare la mia innocenza perché la rapina di cui sono accusato non l’ho commessa – ha scritto a questo proposito il quarantanovenne – Non sono mai stato uno stinco di santo ma ho sempre lavorato e nella mia vita ho commesso dei reati ma mi sono sempre preso le mie colpe e le ho pagate, ma questa volta non posso farlo perché io non ho rapinato i due signori. Sono evaso perché ho sempre trovato ingiusto essere in carcere per qualcosa che non avevo fatto». Alle parole dovranno però seguire i fatti.

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