Riella inchiodato dalle tracce di Dna: «Sue le impronte nella casa dei rapinati»

Gravedona Sentiti ieri gli ultimi testimoni nel processo a carico dell’evaso famoso in tutta Italia. Il genetista e consulente: «Non ci sono dubbi, il sangue trovato sulla mannaia appartiene a lui»

Le carte sono state giocate tutte, sia da parte della difesa (con l’avvocato Roberta Minotti), sia dall’accusa, in un fascicolo che in questi mesi è stato coordinato dal pubblico ministero Alessandra Bellù. Ora non rimane che attendere, dopo l’ultima udienza di ieri in cui è stato chiuso il dibattimento, la prossima settimana quanto le parti inizieranno a prendere la parola per chiedere le eventuali condanne o assoluzioni.

Arrivano al pettine i nodi della vicenda che aveva riguardato Massimo Riella, 49 anni di Brenzio, e la presunta rapina – che l’uomo ha sempre negato di aver commesso –avvenuta a Consiglio di Rumo ai danni di due anziani. Stiamo parlando di quel fascicolo penale che portò Riella in carcere e che in seguito lo rese famoso in tutta Italia per una rocambolesca evasione mentre, accompagnato dalla polizia penitenziaria, si era recato sulla tomba della madre al cimitero di Brenzio.

Gli sviluppi

Il quarantanovenne ha una lunga serie di precedenti ma in merito a quella rapina aveva sempre dichiarato di non avere colpe, motivo per cui – a sui dire – era evaso, per cercare prove che lo scagionassero. Ieri mattina, in aula sono sfilati gli ultimi testimoni. Tra questi è stato richiamato di nuovo il genetista e consulente della procura che aveva analizzato le tracce di sangue trovate sulla mannaia repertata dai carabinieri dopo il sopralluogo nella casa delle due vittime della rapina. Su quell’arma era stato trovato il Dna di Riella, ed è questo ovviamente uno degli elementi chiave del processo sia per l’accusa sia per la difesa, che ha tentato anche ieri di attaccare la pesantezza specifica di questa traccia nell’ambito del processo.

L’avvocato Minotti aveva infatti chiesto di poter utilizzare un altro metodo di analisi del reperto, cosa che il consulente della procura ha fatto arrivando tuttavia agli stessi risultati, anzi con una sicurezza ancora maggiore. «Il metodo che avevo utilizzato precedentemente era cautelativo – ha confermato in aula il genetista – Questo che ho utilizzato ora è invece enormemente sfavorevole all’indagato». Insomma, per l’accusa i dati in possesso del consulente sono di gran lunga superiori – in termini di certezze su quel Dna – a quelli richiesti dalla comunità scientifica internazionale, pur in presenza di una traccia con poco Dna a disposizione e comunque «molto degradata». «Elementi che tuttavia non inficiano la sicurezza del risultato – ha concluso il consulente della procura – ma non perché lo dico io, ma perché lo dice la comunità scientifica».

Le scorse udienze

Nelle scorse udienze, la difesa aveva invece cercato di smontare la ricostruzione dell’accusa, sostenendo – partendo dai racconti delle vittime – che l’orario indicato della rapina non era affatto compatibile con Riella.

In pratica, aveva sostenuto il consulente dell’avvocato Minotti, essendo il colpo avvenuto tra le 20 e le 20.30 del mese di ottobre, la vittima non avrebbe potuto vedere (in quanto era già buio) il malvivente in fuga, cosa che invece dichiarò ai carabinieri. Quindi, ritenendo ovviamente credibile la vittima e il suo racconto, l’orario della rapina deve – secondo la difesa – essere spostato indietro almeno di un’ora, intorno alle 19 facendo saltare le successive individuazioni di Riella ripreso dalle telecamere in prossimità del colpo.

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