La sorella dell’omicida: «Lei era la sua luce. Non ci sono giustificazione per quello che ha fatto»

Il racconto I familiari dell’uomo increduli per l’accaduto. «Dopo tanta sofferenza per lui, tanti momenti difficili, finalmente due anni fa è arrivata lei: era un gioiello»

I capelli raccolti in una coda legata frettolosamente, la borsetta portata di traverso che ad ogni passo stropiccia la maglietta e la pelle leggermente olivastra, segno di una recente vacanza purtroppo ormai lontana, un momento felice che chissà quando tornerà. Rabbia, commozione, impotenza sono tante le sensazioni che ci trasmette la sorella di Marco Campanaro, quando lunedì mattina la incrociamo davanti ai cancelli di via Leopardi. È col marito, capisce che siamo giornalisti, ci apostrofa prima con rabbia: «Non faccia foto, non scriva assolutamente nulla e soprattutto non metta nomi! Scusi il diritto alla privacy sa cos’è?».

Poi la voce inizia a tremare. Alza lo sguardo, guarda le finestre al primo piano dell’appartamento dove i carabinieri stanno tentando di ricostruire cos’è accaduto qualche ora prima. «Non scriva il mio nome, ho due bambine piccole, ma ascolti la mia voce, senta cosa devo dire». Il suo primo pensiero va a Valentina. «È stata un raggio di sole nella vita di mio fratello. Dopo tanta sofferenza per lui, tanti momenti difficili, finalmente due anni fa è arrivata lei: era un gioiello». La convivenza tra i due era serena. Tant’è che sabato scorso lui aveva cucinato la pizza, perché lei aveva invitato i suoi familiari. «Quello che ha fatto mio fratello non ha giustificazioni. Non ho nemmeno parole per commentarlo». Perché parole non ce ne sono. Il pensiero va ancora a Valentina Di Mauro, alla sua famiglia.

«Chissà se li avranno avvisati? Qui di loro non c’è nessuno». Poi si racconta: «Ho saputo la notizia dai giornali. Seguo “La Provincia di Como”. Sul cellulare ho letto dell’omicidio, ho visto le foto dei soccorsi, ho riconosciuto la strada, il palazzo e mi sono precipitata qui». Si è trovata di fronte a uno di quegli scenari che vedi solo al Tg: il via vai dei carabinieri, le ambulanze. «Potevano aiutarli, potevano aiutare Marco e Valentina, ma sono rimasti soli!».

«Tre mesi fa mio fratello si era rivolto al medico di famiglia, al consultorio e al Cps. Gli avevano semplicemente detto che il suo era un caso da trattare come psichiatrico, ma poi nulla non era stato concretizzato nulla»

Marco ultimamente era diventato geloso. Aveva un tarlo: era convinto che Valentina lo tradisse. Lei invece era lì, sempre accanto a lui, a tal punto da accompagnarlo dai medici, quando lui aveva scelto di allontanare quel pensiero facendosi aiutare. «Tre mesi fa mio fratello si era rivolto al medico di famiglia, al consultorio e al Cps. Gli avevano semplicemente detto che il suo era un caso da trattare come psichiatrico, ma poi nulla non era stato concretizzato nulla». La sorella parla di malasanità, di un dolore già vissuto in passato con la madre. Il nostro dialogo improvvisamente s’interrompe, quando il corpo di Valentina esce dal portone d’ingresso del condominio e viene caricato sul carro funebre.

La sorella di Marco Campanaro e il marito si allontanano. Non c’è più nulla da dire. Lei pronuncia ripetutamente solo una parola, all’infinito, disperatamente, quasi sperando che miracolosamente il nastro si riavvolga e sia tutto solo un incubo: «No!No!No!». Torna a sedersi sul marciapiede dall’altra parte della strada, stringendosi il volto tra le mani e piangendo disperata. Valentina non c’è più e Marco è in caserma attendendo il suo destino.

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