’Ndrangheta, infiltrazioni in provincia. Parlano gli imputati: 100 euro per fare l’autista e 250 per il prestanome

Lomazzo Il processo a Como a undici imputati, ieri mattina in Tribunale hanno preso la parola due componenti della famiglia Ficarra

«Con queste accuse rischiamo di vedere la nostra vita rovinata per sempre. Non abbiamo mai fatto minacce o estorsioni, non c’entriamo nulla con la ’ndrangheta. Sì, facevamo truffe, io anche per pagarmi il vizio del gioco e chiedo scusa, ma i soldi che prendevamo finivano sui tavoli del Casinò oppure in macchine di lusso, non andavano alla malavita».

A parlare, ieri mattina in Tribunale a Como, sono stati due componenti della famiglia Ficarra, entrambi arrestati nell’ambito dell’indagine che aveva messo al centro dell’attenzione le infiltrazioni della ’ndrangheta nella nostra provincia, con storie di estorsione, minacce per vessare imprenditori, artigiani e chiunque potesse fare “gola” dalla criminalità. Una attività criminale che aveva – ritiene la Dda di Milano – tra i promotori Domenico Ficarra (detto “Corona”, che già aveva a lungo testimoniato nelle precedenti udienze) e che ruotava anche attorno alle false cooperative che il commercialista di famiglia, Massimiliano Ficarra, faceva nascere e poi morire dopo averle svuotate.

Sono undici gli imputati a Como, mentre erano stati 34 quelli che avevano scelto di farsi processare in Abbreviato a Milano (per gli stessi episodi) vedendo il primo grado concludersi con condanne complessive di oltre 200 anni. Ieri a rispondere alle domande del pm Pasquale Addesso sono stati i due componenti della famiglia Ficarra, Rocco Marcello e Daniele, che hanno escluso la loro vicinanza alla malavita organizzata.

Rocco Marcello ha però ammesso di essere un prestanome al servizio del fratello Massimiliano, che lo “usava” per metterlo ai vertici delle cooperative ritenute dall’accusa fittizie e scoperte da una indagine della guardia di finanza. «Prendevo 250 euro al mese per ogni cooperativa per cui facevo da prestanome – ha detto Rocco Marcello – Non sapevo però il giro che c’era sotto, l’ho scoperto solo dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare. Non sapevo che dietro ci fosse tutto questo schifo. Coinvolsi anche la mia compagna, che prendeva 500 euro al mese».

L’accusa ha però contestato la presenza fisica di Rocco Marcello in diverse zone monitorate dalle indagini: «Perché io conoscevo le strade, mi pagavano per quello, anche 100 euro a viaggio. Ma non sapevo cosa avveniva. Anche quando scesi in Calabria con i 100 mila euro in auto mi limitai ad andare a trovare mia madre mentre gli altri si incontravano in una officina». «Dietro a tutto c’era però Domenico Ficarra (detto “Corona”, ndr) che prendeva in giro tutti, era capace di venderti un bicchiere d’acqua spacciandolo per un diamante».

La parola è poi passata a Daniele Ficarra, che ha spiegato il perché di tutti quei soldi che gli venivano dati: «Erano prestiti personali – ha detto – Non c’era dietro altro. Avevo il vizio del gioco, ho debiti ancora oggi con mezza Calabria. Una volta vinsi a Campione d’Italia 500 mila euro e in un mese mi mangiai tutto. Mio fratello Massimiliano era un abile commercialista ma per questo mio vizio mi teneva lontano dalle cooperative. Io non sapevo nulla di quello che c’era dietro».

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