Prima li faceva assumere nell’azienda. Ma in cambio voleva 120 euro al mese

Mozzate A processo il caposquadra di un’azienda novarese, risultata estranea alla vicenda. Diciotto persone di origine marocchina costretti a versare una parte dello stipendio

«Lui era il capo squadra. Se non lo avessimo pagato avrebbe detto al responsabili della ditta che non eravamo adatti al lavoro, venendo così lasciati a casa». È una storia particolare e anche antipatica - se le accuse dovessero essere confermate dal giudice - quella che è andata in scena in Tribunale a Como. Vicenda non ancora conclusa visto che ci sono ancora molti testimoni da sentire.

Prima udienza

In aula, come imputato, c’è un marocchino residente a Mozzate, 50 anni, che è accusato dalla procura di Como (pubblico ministero Giuseppe Rose) di estorsione per aver chiesto soldi a connazionali su cui in precedenza aveva messo delle buone parole per farli assumere.

Il ricatto era proprio questo, secondo quanto sostenuto dall’accusa, ovvero che lui, Rachid Chibani, li avrebbe fatti lavorare in una ditta con sede a Gozzano, nel Novarese, a patto che questi – una volta ricevuto lo stipendio – versassero indietro nelle tasche del loro “protettore” una cifra quantificata in circa 120 euro a testa.

Il capo di imputazione si sviluppa proprio tra Novara – dove era partita la segnalazione (la ditta è risultata del tutto estranea alle contestazioni) – e Mozzate, perché è poi emerso che questi soldi in contanti i colleghi di lavoro dichiararono di averli consegnati nella casa del cinquantenne in provincia di Como. Erano 18 – sempre stando all’ipotesi accusatoria – gli uomini fatti assumere che poi dovevano restituire una parte dello stipendio direttamente a colui che aveva contribuito a farli assumere. In dodici si sono costituiti parte civile, assistiti dall’avvocato Rosella Pitrone, mentre l’imputato è difeso dall’avvocato Rita Mallone.

La ricostruzione

Secondo quanto ricostruito dalla procura, Chibani era capo squadra nella sede della ditta e aveva potere decisionale sulla gestione del personale. In forza a queste qualifiche, sarebbe giunto – in diciotto casi – a minacciare il licenziamento o la mancata conferma dei contratti a tempo di sei mesi, intascandosi ogni mese 120 euro a testa dalle sue vittime.

Tutti i lavoratori sono stati sentiti dalla polizia giudiziaria. Alcuni avrebbero raccontato che questo sistema proseguiva addirittura dal 2012, arrivando fino al 2019 quando la storia venne a galla e cominciarono le disavventure giudiziarie. In aula, in questi giorni, sono sfilati i lavoratori, alcuni dei quali fatti arrivare appositamente dal Marocco dove nel frattempo erano tornati. «Mi disse che se non gli avessi dato i soldi non avrei lavorato – ha commentato uno di loro davanti alla richieste dei giudici – Me lo disse fin da subito, prima di iniziare. Iniziai a lavorare a giugno e gli diedi, per quello che mi ricordo, 320 euro per i mesi di giugno, luglio e agosto».

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