Il papa in canada: un viaggio di giustizia

La visita in programma dal 24 al 29 luglio è legata alla questione dolorosa delle “scuole residenziali” nelle quali i bimbi scontarono politiche assimilazioniste

Francesco sarà in Canada dal 24 al 29 luglio, ma quello in programma non è il classico viaggio pastorale di un Papa cui, almeno dal pontificato di Karol Wojtyla, siamo abituati ad assistere. La visita di Bergoglio è infatti legata a una vicenda del tutto particolare: un percorso di riconciliazione fra la Chiesa e i popoli indigeni e una ricerca di giustizia da parte di questi ultimi.

All’origine della decisione del Pontefice di mettersi in viaggio, nonostante le precarie condizioni di salute che lo costringono a spostarsi in sedia a rotelle, c’è la questione delle cosiddette “scuole residenziali” per bambini e ragazzi indiani promosse dalle autorità canadesi e attive dai primi decenni dell’800 e fino agli anni ’90 del secolo scorso. Questi istituti, la cui gestione fu affidata ad alcune confessioni cristiane fra le quali primeggiava la Chiesa cattolica, misero in atto una politica violentemente assimilazionista in ragione della quale i bambini indigeni venivano separati con la forza dalle loro famiglie e costretti a “dimenticare” le culture e le tradizioni da cui provenivano; furono inoltre sottoposti a maltrattamenti, abusi, violenze, molti di loro morirono per gli stenti, la fame, le malattie.

Lo scandalo

Poco più di un anno fa, poi, è scoppiato lo scandalo delle sepolture senza nome ritrovate nei pressi di diverse di queste ex scuole, fosse comuni o cimiteri rimasti segreti. La macabra scoperta ha causato, inevitabilmente, una serie di rinnovate proteste e contestazioni da parte delle comunità indigene, nonostante il caso delle scuole residenziali fosse già stato affrontato da diverse commissioni governative a partire dai primi anni duemila. Spiegando le ragioni del viaggio in un lungo articolo per la rivista dei gesuiti “Civiltà Cattolica”, padre Federico Lombardi, già portavoce di Benedetto XVI e di Francesco, ha scritto: «Uno degli argomenti più dolorosi e che continua – e continuerà a lungo – a suscitare ondate di emozioni è la ricerca sui minori che sono morti durante il periodo in cui si trovavano nelle scuole residenziali e di cui non si è trovata alcuna registrazione, o non si sono identificate le tombe. Le ricerche intorno ai siti di antiche scuole danno luogo non di rado a ritrovamenti di resti umani, fra cui molti di minori».

Lavoro difficile

Quello del rinvenimento delle sepolture e dell’attribuzione di un’identità ai resti, alle ossa, che vengono alla luce, rimane un lavoro particolarmente difficile e delicato ma altrettanto decisivo per le comunità indigene. «Finora – ricordava ancora padre Lombardi - si è riusciti a farlo per oltre 3.000 minori. Nessuno può dire con certezza quanti siano stati i morti in totale, ma verosimilmente assai di più di 3.000».

È’ dunque in questo contesto che il Papa si è impegnato a visitare il Canada (toccherà le città di Edmonton, Maskwacis, Québec ed Iqaluit) per la prima volta nel pontificato dopo aver accettato l’invito dei vescovi cattolici canadesi alla fine di ottobre 2021. Successivamente, fra marzo e aprile, più di 30 delegati indigeni in rappresentanza delle “Prime Nazioni”, “Métis” e “Inuit”, sopravvissuti di scuole residenziali e giovani hanno trascorso una settimana a Roma, incontrandosi privatamente con Papa Francesco per condividere le loro storie e discutere del trauma intergenerazionale che continua ad avere un impatto sui popoli indigeni.

Nell’occasione, dopo essersi scusato pubblicamente per il male fatto dalle istituzioni cattoliche, il Papa ha ribadito il suo desiderio di recarsi in Canada per continuare in un percorso comune di guarigione e riconciliazione.

“Il sistema delle scuole residenziali – spiegava ancora la Civiltà Cattolica - si estende storicamente per oltre un secolo. Sono esistite in totale 139 scuole, distribuite in tutto il Paese, dall’Atlantico al Pacifico, dalla Nuova Scozia a Vancouver, anche se prevalentemente nei territori occidentali e per lo più negli Stati anglofoni del Canada.

Si calcola che tali scuole abbiano ospitato complessivamente circa 150.000 minori, maschi e femmine (un numero certamente molto grande, anche se alcuni studi sostengono che si sia trattato sempre di una minoranza rispetto al totale complessivo dei minori aborigeni). La prima fu aperta nel 1831, l’ultima fu chiusa nel 1996. Nel 1920 ne esistevano circa 80. Nel 1931 le scuole si erano triplicate rispetto a cinquant’anni prima”. Importante il ruolo che giocarono le chiese cristiane nella gestione di questi istituti: «Poco più della metà di esse erano affidate a entità della Chiesa cattolica, le altre ad altre denominazioni cristiane, per esempio anglicani, metodisti ecc. Quelle cattoliche sono state gestite da congregazioni religiose o enti diversi. Il gruppo più consistente era affidato agli oblati di Maria Immacolata, ma vi erano anche diverse altre congregazioni religiose maschili e femminili (come Suore della Carità, Suore “Grigie”, Suore dell’Assunzione, Suore di Sant’Anna ecc.), oltre che varie diocesi. La lista delle “entità cattoliche” classificate come “parti” dell’ “Accordo sulle scuole residenziali indiane”, enumera 50 enti».

Perché nel frattempo sono stati raggiunti accordi per risarcimenti in denaro, sono state ammesse responsabilità e compiute richieste di perdono; tuttavia da parte indigena si insiste su un punto: la Chiesa cattolica, dal Vaticano alle diocesi alle singole congregazioni religiose coinvolte, dovrebbe aprire i propri archivi e rendere note tutte le informazioni in suo possesso circa la sorte dei bambini indigeni scomparsi nel corso dei decenni passati.

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