Se il lago di Como diventa betlemme

A Palazzo Brentano in Tremezzina e a Villa Manzoni di Lecco le due più importanti esposizioni di presepi, alcuni ambientati sul Lario. Lo stesso “don Lisander” dedicò una poesia a questa tradizione Francesco Soletti

«I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose. Francesco, l’uomo di Dio, stava davanti alla mangiatoia, pieno di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia. Il rito solenne della messa viene celebrato sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo circonda e parla della nascita del re povero che egli chiama il Bimbo di Betlemme...». Questo, il racconto del primo presepio, allestito nella grotta di Greccio, correva l’anno 1223, otto secoli proprio oggi. Il Santo di Assisi, reduce dalla Palestina, dov’era rimasto incantato da Betlemme, aveva ottenuto da papa Onorio III il permesso di ricrearne l’atmosfera. A riferirlo è Tomaso da Celano, suo compagno e biografo, dal quale trasse ispirazione anche Giotto nell’affrescare la Basilica Superiore di Assisi nel 1295 con questa e altre scene della “Storia di San Francesco”.

Venendo al presepio in chiave lariana, è di prammatica la citazione manzoniana. “La mira Madre in poveri / panni il Figliol compose, / e nell’umil presepio / soavemente il pose; / e l’adorò: beata! / innanzi al Dio prostrata, / che il puro sen le aprì”. E qualche strofa più avanti, a proposito dei pastori, che furono i primi, inconsapevoli destinatari della lieta novella: “Senza indugiar, cercarono / l’albergo poveretto / que’ fortunati, e videro, / siccome a lor fu detto / videro in panni avvolto, / in un presepe accolto, / vagire il Re del Ciel”. La qual cosa tra l’altro introduce all’annosa questione su quale tra i termini presepio e presepe sia corretto usare. L’intervento dell’Accademia della Crusca è stato salomonico: «Se uno dei padri della lingua italiana poteva usare nello stesso componimento e in un contesto assai simile sia presepio che presepe - forse per amore della “variatio” - non possiamo dare altra risposta che: si possono usare entrambi i termini». Osservando, però, come nei contesti più recenti presepio sia prevalente.

L’associazione nazionale

Questo riferimento letterario porta il discorso su quel che la città di Lecco oggi riserva in materia di presepio. Ai primi di dicembre, infatti, in concomitanza con la Festa di San Nicolò, patrono della città, è stata inaugurata l’ormai tradizionale mostra dei presepi presso le Scuderie di Villa Manzoni, a cura della sezione locale dell’Associazione Italiana Amici del Presepio. L’anno scorso era stato allestito un presepio con pastori in stile Settecento napoletano, rendendo omaggio alla grande tradizione partenopea, ma pur sempre sul fondale dipinto della sponda orientale del lago. Nella circostanza odierna per onorare la ricorrenza di Greccio sono in mostra quaranta presepi con riferimenti francescani, più una sezione a sé stante, nelle cantine, con figure ispirate a una tradizione molto particolare, quella del presepio dipinto su carta. Questo, in omaggio ad Alberto Finizio, storico presidente dell’Associazione che tra l’altro cura il Museo del Presepio di Roma - oltre 1000 allestimenti dall’Italia e del mondo, nei più svariati materiali, dalla cartapesta alla ceramica - imperdibile per chi volesse farsi un’idea delle vette artistiche raggiunte nei secoli dagli epigoni del San Francesco di Greccio.

Dal ramo di Lecco a quello di Como, dove l’Associazione Amici del Presepio conta una sezione locale in Tremezzina. Anche qui è in calendario una mostra allestita a Palazzo Brentano, la notevole dimora che introduce al borgo di Bonzanigo. Pezzo forte di questa edizione è il lavoro di un maestro della presepistica, il reggiano Antonio Pigozzi, invitato a creare un presepio d’ambientazione locale: così l’episodio dell’Annunciazione si svolge sotto una cappella del Sacro Monte di Ossuccio e la Chiamata dei Pastori ha per sfondo la basilica romanica di San Benedetto in Val Perlana, riprodotta con incredibile realismo, e infine, per la Natività, gli olivi più lariani che ci possano essere, quelli della della Zoca de l’Oli.

Il Legnet e la Linda Ciuchera

In aggiunta, poco distante dal palazzo, c’è la Casa dei Presepi, un rustico suggestivo per fattezze e posizione, dove gli appassionati tremezzini hanno allestito un’esposizione permanente, che suscita sempre stupore e ammirazione, soprattutto tra quanti percorrono la Greenway fra Colonno e Griante ignari della sua esistenza. La Casa dei Presepi tra l’altro fa da sfondo a una vicenda che il compianto don Luigi Barindelli ha raccolto da un’anziana parrocchiana. Si era ai primi del Novecento: lei era la Linda Ciuchera, una povera donna di Campo che viveva d’espedienti e trovava consolazione nel vino; lui era il Legnet, un forestiero segaligno che sbarcava il lunario come scaricatore al porto di Azzano. Due senza fissa dimora: lui spesso dormiva in barca; lei dove la conduceva la sbornia. Fatto sta che dal loro burrascoso amore sarebbe nata una bimba e quando capitò fu proprio nella stalla di quella casa nella valle di Mezzegra. «Non era Natale, lei non era la Madonna, lui non era San Giuseppe, anche se la stalla era vera come quella di Betlemme, con la mangiatoia, gli animali e il fieno - riporta Don Barindelli, -, ma quando venne alla luce una bambina il Natale scoppiò davvero. Nessun angelo svegliò i pastori, ma la voce fece veloce il giro del paese e fu subito un accorrere di persone a prestare aiuto, a portare doni...». Nessuno sa bene come siano andate poi le cose. «Si sa per certo che quel giorno fu un vero Natale, ricordato e raccontato per un pezzo».

Valore universale

Questo aneddoto porta il discorso sul valore universale del presepio e la più autorevole delle voci è quella di papa Francesco, che fin dalla scelta del nome pontificale ha dimostrato vicinanza al Santo di Assisi. «Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede...» così scrive nella lettera apostolica “Admirabile signum” che il papa ha indirizzato ai frati del Santuario del Presepe di Greccio. «Fermiamoci a guardare il presepe: entriamo nel vero Natale con i pastori, portando a Gesù Bambino quello che siamo... Contemplando il Dio Bambino, che sprigiona luce nell’umiltà del presepe, possiamo diventare anche noi testimoni di umiltà, tenerezza e bontà».

Preghiera analoga, ma più aspra e sempre più attuale, quella di padre David Maria Turoldo: “La tristezza di questi natali / Signore, ti muova a pietà. / Luminarie a fiumane, / ghirlande di false costellazioni / oscurano il cielo di tutte le città. / Nessuno più appare all’orizzonte: / nulla che indichi l’incontro con la carovana del Pellegrino; / non uno che dica in tutto l’Occidente: nel mio albergo sì, c’è un posto... / Un amaro riso di angeli obnubila lo sfavillio dei nostri presepi, / Francesco cantore di perfette, tragiche letizie: / pure se un Dio continuerà a nascere, / a irrompere da insospettati recessi: / là dove umanità alligna ancora silenziosa e desolata: / dal sorriso forse di un fanciullo della casba a Daccà, o a Calcutta...”

Certo, le grandi contraddizioni del nostro tempo, ma nell’intimo di ogni famiglia alla fine prevale sempre la gioia del momento. «Io faccio il presepe perché quando avevo i figli piccoli, lo facevo... sapete, era un’allegrezza...» - scrive Eduardo De Filippo nel suo “Natale in casa Cupiello” - «E anche adesso che sono grandi, io ogni anno debbo farlo... mi sembra di avere sempre i figli miei piccoli... Sapete... anche per religione... è bello fare il presepio...».

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