Una “nuova” radiologia quella che cura e guarisce

Dall’ambito vascolare a quello oncologico, come nel caso del trattamento di lesioni solide a livello epatico e renale.Il radiologo Francesco De Cobelli: «La mininvasività rende gli interventi meno pesanti e il recupero più rapido»

Negli ultimi anni è stato importante lo sviluppo della radiologia interventistica. Dall’attività di diagnostica, grazie anche a innovazioni in ambito tecnologico, si è arrivati all’impiego di questo ramo della medicina anche per trattamenti e interventi mini-invasivi.

Scenari presenti e futuri di cui abbiamo parlato con il professor Francesco De Cobelli, primario dell’Unità operativa di Radiologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, professore ordinario di Radiologia all’Università Vita-Salute San Raffaele e vicepresidente dell’Italian College of Interventional Radiology della Sirm – Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica.

Professore stiamo assistendo a un importante sviluppo della radiologia interventistica, soprattutto in ambito oncologico, vascolare e nella medicina d’urgenza?

Nel tempo c’è stata una presa di coscienza di molti radiologi che la nostra disciplina non è soltanto diagnostica ma anche interventistica. Quello che possiamo fare, infatti, è sfruttare le immagini per fare diagnosi e allo stesso tempo per fare trattamenti. L’evoluzione tecnologica consente alla radiologia interventistica di sfruttare, ad esempio, i raggi X, la Tac o l’ecografia per identificare un target tumorale e allo stesso tempo fare un intervento di ablazione.

Tutto questo quindi grazie a strumenti che sono sempre più all’avanguardia?

C’è stata un’evoluzione sia del medico radiologo che della tecnologia, rivoluzione tecnologica intesa non soltanto come apparecchiature che producono immagini ma anche come strumenti e dispositivi che consentono di eseguire trattamenti mininvasivi.

Ma quali sono i vantaggi della radiologia interventistica rispetto a altre procedure?

Senza dubbio proprio la mininvasività, nel senso che possiamo eseguire dei trattamenti che non richiedono l’anestesia generale e l’approccio chirurgico, rendendo il trattamento meno pesante per il recupero del paziente ed il ricovero più breve.

Il primo ambito in cui la radiologia interventistica ha preso piede è quello vascolare?

Si, poi nel corso del tempo si sono sviluppati altri due grandi settori, quello oncologico e quello legato alle patologie d’urgenza.

Per l’ambito vascolare cosa possiamo dire?

È l’ambito dove storicamente nasce la radiologia interventistica, quello che nel linguaggio comune oggi è, ad esempio, l’angioplastica, l’inserimento di stent, quello che serve a dilatare e trattare una stenosi arteriosa, ma anche il trattamento nel versante venoso sta prendendo sempre più sviluppo.

E l’ambito oncologico?

La radiologia interventistica viene impiegata, ad esempio, nel trattamento di lesioni solide come i tumori epatici e renali. L’applicazione nel fegato può essere sia per tumori primitivi come l’epatocarcinoma e il colangiocarcinoma, ma anche i tumori secondari e quindi tipicamente le metastasi del tumore del colon.

L’approccio anche in ambito oncologico è multidisciplinare?

In tutti gli ambiti di applicazione c’è un confronto con altri specialisti. La scelta di un trattamento non è legata alla singola persona ma basata su linee guida internazionali e su un team multidisciplinare. Quindi, ad esempio, una volta che si è identificato il tumore del fegato, la sua tipologia e lo stadio, si decide il trattamento migliore e in questi casi ci sono diverse procedure di radiologia interventistica che vanno dall’ablazione, alla chemioembolizzazione o alla radioembolizzazione per citarne alcune.

Quindi anche i tempi di degenza sono ridotti rispetto a altre procedure?

Con queste procedure di radiologia interventistica generalmente il ricovero è di uno o due giorni, ma esistono anche possibilità di trattare i pazienti in day hospital. La scleroembolizzazione del varicocele, ad esempio, viene eseguita in day hospital inserendo una sostanza sclerosante attraverso un piccolo catetere, un po’ come avviene con le vene varicose.

Per quanto riguarda, invece, l’ambito dell’emergenza?

Andiamo a trattare, ad esempio, pazienti con politraumi o comunque che hanno subito un trauma che ha provocato un sanguinamento interno. Se il paziente è stabile dal punto di vista emodinamico e non è destinato all’intervento chirurgico, dopo una Tac per individuare l’area di sanguinamento, si va a eseguire una procedura di embolizzazione selettiva che serve chiudere la fonte di sanguinamento senza dover intervenire con procedure più invasive.

In sostanza il radiologo interventista è ormai uno specialista che è presente in ospedale tutti i giorni e a tutte le ore?

Si, anche perché si può andare a intervenire anche su urgenze neurologiche come l’ictus e le emorragie cerebrali. La scienza e la tecnologia hanno fatto passi da gigante in questo settore per trattare i pazienti il prima possibile e per scongiurare così gli esiti di queste patologie tempo dipendenti. Il paziente oggi arriva nell’hub di riferimento, viene sottoposto a Tac per intercettare la presenza di un trombo in una arteria del cervello e attraverso l’arteria femorale, con una tecnica di radiologia interventistica che si chiama trombo aspirazione, si va ad aspirare il trombo stesso e si permette al sangue di tornare a irrorare il cervello in modo corretto.

Ci aiuta a capire quali sono gli scenari futuri?

Una delle tematiche che si sta sviluppando è la robotica. Oggi il robot viene utilizzato in modo routinario in alcune specialità chirurgiche, pensiamo per esempio all’urologia, e sta implementando il suo utilizzo anche in altre patologie addominali come quelle ginecologiche, ma anche per il fegato o il pancreas. Anche per quanto riguarda la radiologia interventistica stiamo già facendo alcune sperimentazioni con i robot per migliorare la performance della mano e dell’uomo stesso.

Anche i sistemi di navigazione stanno cambiando?

In questo ambito senza dubbio l’uso dell’imaging per andare a indentificare un target e il suo trattamento vede nei sistemi di navigazione un punto centrale, questi sono già cambiati e stanno cambiando per essere sempre meno dipendenti dall’abilità dell’occhio umano e più dall’automatizzazione del processo. Quindi la robotizzazione del processo è senza dubbio la prossima frontiera anche se non siamo così vicini al traguardo come altri settori della chirurgia.

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