CRV - Adriano Favaro presenta il libro ‘Cronache di piombo’ con i familiari di Taliercio e Gori

(Arv) Venezia 28 giu. 2021 – Quarant’anni dopo che cosa resta della scia di sangue e di strage seminata dal terrorismo in Veneto? Perché sono stati uccisi Sergio Gori, vicedirettore del Petrolchimico assassinato sotto casa il 28 gennaio 1980, e il direttore della Montefibre di Marghera, Giuseppe Taliercio, ucciso il 5 luglio del 1981 dopo 47 giorni di sequestro angosciante? Perché, insieme a loro, i killer delle Br hanno ucciso il poliziotto Alfredo Albanese, apprezzato vicecapo della Digos? Come è possibile che un manipolo di una ventina di brigatisti e di circa 200 fiancheggiatori, più un’area ‘grigia’ di qualche migliaio di sostenitori degli opposti estremismi (‘rossi’ e ‘neri’) abbiano tenuto il Veneto e l’Italia sotto scacco per un intero decennio? A queste domande risponde il giornalista Adriano Favaro, con il suo libro ‘Cronache di piombo’ (219 pagine, edizioni Nuova Dimensione) presentato oggi a palazzo Ferro-Fini, alla presenza del prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto e del presidente del Consiglio Roberto Ciambetti, con la partecipazione del figlio dell’ing. Taliercio, Cesare, e della figlia della compagna di Sergio Gori, Maria Grazia Silvestri.

“Ho scritto questo libro per salvare la memoria di quanto accadde negli anni Settanta in Veneto – ha spiegato Favaro, vicecapocronista del Gazzettino di quarant’anni fa – per dare voce alle vittime e ai loro figli, alle loro mogli e compagne, lasciati soli dallo Stato e oggi rimossi dalla memoria collettiva. Il terrorismo è stato vinto dai ‘pentiti’ che hanno saldato il conto con la giustizia ammettendo il fallimento della loro strategia, ma senza assumersene la colpa morale. I più sono liberi e si sono rifatti una vita, magari fanno anche gli intellettuali di riferimento. E le vittime? Oggi non sappiamo più nemmeno quello che accadde a Mestre e in Veneto tra il 1969 e il 1981, non vogliamo nemmeno farci domande sui lati oscuri di una vicenda che lascia molti punti interrogativi aperti anche sul ruolo dello Stato e dei suoi apparati. E intanto la lebbra sociale dei discorsi d’odio continua a corredere lo spirito sociale”.

“Gli anni di piombo sono le foibe dei nostri giorni”, gli ha fatto eco il prefetto Zappalorto. “C’è un processo di rimozione in atto, come avvenne per le vicende del confine orientale, degli infoibati e dell’esilio in massa degli italiani dalle terre d’Istria e Dalmazia. Dimenticarci delle vittime del terrorismo e delle loro famiglie, lasciate sole dallo Stato e dalle sue provvidenze, è una delle cose di cui dovremmo tutti vergognarci”.

“Il terrorismo non è stata opera di folli, ma una strategia asimmetrica - ha ricordato il presidente del Consiglio Ciambetti - che ha avuto in Veneto una centrale organizzativa di primo piano. Sono ben 14.591 gli atti d violenza eversiva messi a segno dal 1969 al 1981. Abbiamo il dovere di ricordare tre persone giuste e oneste come Gori, Taliercio e Albanese, e di prendere atto che il ‘pentitismo’ non ha saldato il conto morale con la storia e lo Stato non ha saputo far luce su vicende e misteri di quegli anni”.

“Papà è stato vittima di una ideologia cieca che non vedeva la persona ma solo la funzione”, è stata la sofferta testimonianza di Cesare Taliercio, quarant’anni fa alle prese con l’esame di maturità nei terribili giorni del sequestro e dell’uccisione del genitore. Tante le domande aperte: perché le Br hanno mirato ad un dirigente competente, giusto e onesto, apprezzato in fabbrica da operai e sindacato? Si poteva fare qualcosa per salvarlo? I ‘pentiti’ hanno preso coscienza del male irreparabile che hanno causato alla famiglia, alla fabbrica e alla comunità?

“Per noi è una ferita immensa, impossibile da ricucire – ha concluso Maria Grazia Silvestri, la figlia della compagna di Sergio Gori, che nel vicedirettore del Petrolchimico aveva trovato il padre che non aveva avuto – Ricordare ci costa fatica, ma dobbiamo tenere viva la memoria di ciò che è stato e di quello che abbiamo vissuto, perché vedo in giro troppo odio sociale, sento troppe parole di violenza e di sopraffazione. Anche nella scuola, anche tra i più piccoli”.

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