“La Cura”, una pratica quotidiana che abbraccia corpo e spirito

Rallentare, fermarsi, finalmente sentire : sono azioni che sembrano ormai dimenticate. Piuttosto si preferisce ignorare i ripetuti richiami del corpo e della mente, per continuare a produrre sempre un po’ di più. Come ingranaggi mal oliati, si rischia di andare in sovraccarico , di incrinarsi fino a esplodere e spegnersi, avvolti in una nube di viscoso fumo nero. Smarriti e disorientati, ci si trova costretti a fermarsi per leccarsi le ferite, con un disperato bisogno di aiuto. Forse è da quel senso di disfatta che diventa possibile muovere il primo passo verso la risalita: nell’ancestrale e salvifico bisogno di cura .

Di questa esigenza fortemente umana, ma sempre più spesso tralasciata, è impregnato l’ultimo libro di Stefania Magnone , pubblicato per il Gruppo Albatros il Filo . “La Cura” si offre di guidare il lettore verso la comprensione del significato profondo di una parola dalle infinite declinazioni: essa non è infatti soltanto sinonimo di “terapia”, ma una pratica quotidiana che abbraccia il corpo e lo spirito , l’individuo e la relazione con l’altro.

È negli ultimi dolorosi anni della pandemia da Covid-19 che la parola “cura” è entrata nel nostro vocabolario quotidiano: se da una parte i medici e i ricercatori cercavano un vaccino, dall’altra emergevano con forza le discussioni rivolte alla tutela della salute mentale ; se l’attenzione di tanti si concentrava con amarezza sugli anziani abbandonati, sulle situazioni domestiche disfunzionali, sui senza fissa dimora che non potevano più ricevere la giusta assistenza, al contempo si rimaneva stupefatti e affascinati di fronte a una natura che tornava a pullulare senza paura nelle città deserte. L’impressione è che nel momento in cui ci si ferma a osservare , a sentire davvero ciò che ci circonda, ci si renda conto di quanto siamo interconnessi : non isole in mezzo all’Oceano, ma arcipelaghi di esperienze e sentimenti condivisi. Un’occasione, dunque, da non lasciare inascoltata.

“La cura”, spiega l’autrice nell’introduzione del suo libro “è un termine che in Italia ha ancora un’accezione un po’ “mistica”, un po’ “trash”. In un paese che fino a qualche decennio fa aveva un’identità religiosa, radicata nella società, il termine “cura” poteva fare riferimento alla inaccessibilità del singolo alle proprie forze e capacità perché legato alla provvidenza (anziché al fare), a ciò che si spera venga calato dall’alto, oppure un termine “trash” per indicare l’altro lato, la modalità dissacratoria, il farsi carico di sé come inutile, svilente rispetto al nostro potenziale. Ciò che ha a che fare con i nostri bisogni, ciò che ci tocca tutti da vicino, dentro, è tendenzialmente relegato ad argomento di poca attenzione e scarsa dicibilità”. In qualità di infermiera , naturopata e soprattutto di persona che ha affrontato per prima un percorso di rinascita , Magnone si scaglia contro questa tendenza, mettendo in luce argomenti scomodi – quali il dolore, la malattia, la precarietà – nel tentativo di riconoscerli come parte del nostro cammino , condizione ineluttabile e connaturata al nostro vivere. 

Magnone sceglie di mettersi a nudo tra queste pagine, raccontando la sua storia e quella di altre due persone che hanno scelto di “prendersi cura”. La sua è una vita trascorsa fra le corsie degli ospedali, a stretto contatto con la fragilità e con i limiti dell’umano: per questo ha scelto di non fermarsi semplicemente al trattamento del sintomo, ma di entrare in contatto con la persona e con la sua sofferenza, donando conforto all’anima , non soltanto al corpo. Gli studi e le ricerche che ha portato avanti nel tempo le permettono poi di approcciarsi alla naturopatia e alle discipline olistiche, di toccare i benefici offerti dai fiori di Bach e giungere alla conoscenza di un nuovo modo di “stare” attraverso lo yoga e la meditazione . Sono argomenti che negli ultimi decenni hanno suscitato un interesse sempre crescente, ma che allo stesso tempo non sono affatto di facile trattazione. Stefania Magnone si serve dunque un doppio canale comunicativo per raggiungere i suoi lettori: da una parte divulgativo , per sfatare i luoghi comuni o le conoscenze parziali che si hanno in relazione a queste discipline, dall’altra profondamente umano , raccontando storie di vita vissuta nelle quali molte persone potranno riconoscere una parte di sé. Il risultato è l’instaurarsi di una immediata complicità tra lettore e autrice, nella quale abbandonarsi e lasciarsi guidare.

Il filo che lega le vite narrate tra queste pagine è uno degli argomenti più caldi del nostro tempo, ovvero ciò che potremmo definire una “delusione” delle aspettative sociali : il divorzio, una malattia, un lavoro non convenzionale, un rapporto conflittuale con la famiglia d’origine. Ciascuno dei personaggi aveva cercato di rispondere alle attese della società, lasciando in secondo piano i propri bisogni fino a non vederli più. Questo atteggiamento, tuttavia, si rivela profondamente dannoso : alimenta il senso di colpa , l’angoscia e il peso di un fallimento del quale non si riconosce la provenienza. La soluzione scalpita della propria mente, ma sembra un’utopia irraggiungibile, almeno fino al momento in cui si sceglie di dire “basta” .

“Sentire” è dunque la parola d’ordine dell’opera di Magnone, la prima azione da compiere per iniziare a praticare la cura. Il ruolo delle emozioni , a lungo neglette e accantonate, torna al centro della riflessione contemporanea, permettendo all’uomo di riconoscersi complesso e in relazione . Sono diverse le discipline suggerite nel libro, utili strumenti di prevenzione e pratica quotidiana in ausilio della medicina. L’autrice sottolinea infatti che “non abusare e non limitare il ricorso alla medicina quando è necessario è segno di equilibrio, di sanità”, considerando la somministrazione di cure tradizionali come una parte – pur fondamentale – del più ampio e complesso percorso di raggiungimento del benessere .  

Il cambiamento può avere inizio soltanto nel momento in cui si smette di procedere con il pilota automatico e si lasciano affiorare le domande più profonde. Uno dopo l’altro ci si accorge dei propri bisogni inascoltati e del modo in cui essi vengono facilmente somatizzati o respinti. Degno di nota è un esempio citato dall’autrice, che ci racconta delle forti e inspiegabili febbri sofferte da delle donne del suo libro. Il sintomo smette di esistere nel momento in cui inizia a praticare lo yoga, un risultato che non può che fare riflettere. Non a caso quando Magnone parla di “linguaggio del corpo” non si riferisce soltanto alla prossemica o alla cinesica, ma ai linguaggi non verbali che il corpo esprime, con i quali è possibile comprendere il proprio stato fisico o mentale: “Le discipline olistiche aiutano a decodificare il suo linguaggio che è più complesso e articolato di quanto immaginiamo, questo ci aiuta a cambiare ciò che non ci fa stare bene, prendere coscienza di chi siamo, entrare in una migliore relazione con noi stessi e quindi con il mondo che ci circonda. Il corpo non è solo l’immagine che vediamo allo specchio, il corpo è determinato dalla sua materia ma anche dalle sue funzioni, pulsioni, bisogni, capacità, sensibilità.”

Ultimo, ma non per importanza, è il ruolo del trascendente nella vita dell’uomo: l’autrice sottolinea quanto questa componente sia connaturata all’umano e quanto al tempo stesso sia stata messa da parte, per concentrarsi unicamente sul visibile. Abbracciare il trascendente significa aprirsi ai desideri e alle possibilità delle quali ogni persona è pienamente capace.

“La Cura” è dunque soltanto l’inizio di un percorso che ha bisogno di essere praticato quotidianamente, con costanza. Ci invita a manifestare una nuova apertura nei confronti di ciò che ci circonda e di ascoltare al tempo stesso la parte più profonda di sé. Tra racconti a cuore aperto, ricerche e illuminazioni, l’opera di Stefania Magnone dona speranza e motivazione per aprire un nuovo importantissimo capitolo della propria vita.

 

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