All’alieno non far sapere che i terrestri sono in casa

Possiamo nutrire scarsa fiducia nel genere umano, considerare il prossimo alla stregua di un nemico e il vicino di casa con l’allarme e il disprezzo dovuti a una pianta infestante: possiamo, ripeto, ma non per questo ci è consentito di perdere di vista la verità. Che è semplice e - ahimè - incontestabile: nell’arco della nostra vita non conosceremo altri esseri simili a noi, ovvero mai incontreremo esemplari di un genere diverso ma ugualmente senziente, creature di altra origine ma capaci della stesse dinamiche intellettuali. In altre parole: vivremo quanto ci è dato di vivere circondati da altri umani. Punto e basta.

La possibilità (speranza?) di contatto con esseri provenienti da altri pianeti o addirittura da altre galassie è piuttosto remota. Inoltre, qualcuno fa presente che tale incontro - tante volte immaginato nella letteratura e nel cinema di fantascienza - potrebbe non essere affatto desiderabile. Anzi, la ragione dice che faremmo meglio a ritirare lo zerbino con la scritta “benvenuto” e, nel caso gli alieni venissero a bussare, far finta che non c’è nessuno in casa.

Lo rileva il fisico e divulgatore scientifico Michio Kaku sulla base della considerazione che se le possibilità di una visita extraterrestre sono scarse, ancora più improbabile è che questa visita possa svolgersi su una base di conveniente reciprocità.

Infatti, se le astronavi degli alieni riuscissero ad arrivare a noi da migliaia di anni luce di distanza, starebbe a significare che sono costruite su premesse tecnologiche avanzatissime, molto più avanzate delle nostre. Ne consegue che gli extraterrestri ci considererebbero alla stregua di creature arretrate, primitive, addirittura catalogabili come specie animali: certamente non come individui con cui intavolare discussioni, scambi culturali e tantomeno relazioni sociali. Non si preoccuperebbero di illustrarci la loro tecnologia come noi non ci preoccupiamo di illustrare a un facocero il funzionamento del differenziale o del servosterzo.

Michio Kaku precisa poi che non dovremmo temere tanto una loro generica “malvagità” quanto il più serafico disinteresse per la nostra sorte. Non corriamo, insomma, un pericolo simile a quello corso da un cervo nella foresta davanti al fucile di un cacciatore. Piuttosto, la minaccia è quella che, nei confronti del cervo, viene portata da uno speculatore o da un ingegnere stradale: gente interessata a costruire e del tutto ignara (nonché noncurante) della sorte di un povero mammifero artiodattilo.

Fin qui il ragionamento di Michio Kaku il quale, in sostanza, esorta a non aprire agli sconosciuti, specie se di provenienza spaziale. A noi tocca spingerci un pochino oltre con l’immaginazione e speculare su ciò che accadrebbe se, in effetti, si realizzasse il (quasi) impossibile: un incontro “pari a pari” con i marziani o chi per loro. Anche qui: a essere onesti non c’è ragione di nutrire troppe speranze. Quanto tempo credete ci metterebbero gli alieni a girare l’astronave e a mostrarci i fanali posteriori in allontanamento, quando, a guisa di benvenuto,noi terrestri non faremmo altro che sottoporli a infinite, estenuanti, patetiche e improduttive richieste di “selfie”?

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