Anno 2021: ma che fine ha fatto la televisione?

Qualcuno (o meglio, qualcosa) ha goduto nell’ultimo anno di assoluta e costante immunità dal Covid: la televisione. A parte i programmi d’informazione, ben poco è trapelato dalla tv generalista - ma tutto sommato anche dalle piattaforme streaming - di quanto il Paese, e il mondo intero, sta attraversando. Con pochissime eccezioni, la programmazione è andata avanti come se niente fosse: il Festival di Sanremo si è svolto se non “regolarmente” almeno con buona approssimazione rispetto alle edizioni passate (con la sola, e singolare, novità che è stato saccheggiato l’armadio di Liberace per vestire i concorrenti), Masterchef ha il suo master, i quiz quizzano che è un piacere e dei talk show non parliamo neanche: è bastato distanziare le poltroncine perché la fiera delle mezze verità e delle bugie intere riprendesse imperterrita.

Si dirà: dalla televisione ci aspettavamo che continuasse nel suo impegno diviso tra informazione e intrattenimento ma a me è parso che abbia denunciato anche una certa inerzia di fondo. Gli italiani hanno dovuto imparare a convivere con l’epidemia e, tra errori, impazienza e occasionali momenti di impazzimento collettivo, continuano a farlo. Negli studi televisivi, o almeno in buona parte di essi, si fa invece finta che nulla stia accadendo. Eppure, a pensarci, sarebbe proprio questa l’occasione giusta per la televisione di riprendersi il suo ruolo, un po’ cafone ma tanto efficace, di teatro popolare, di cortile della nazione e perfino di portineria interregionale.

Chissà, forse mancano le facce toste di una volta. Non è difficile immaginare Gianfranco Funari buttarsi a pesce sul tema del lockdown e - “damme ’a quattro, passame la due” - tirar fuori qualche testimonianza genuina come una caciotta e odorosa come un piatto di salsiccia alle cipolle.

E se Funari non vi piaceva, allora Zavoli e Tortora ma anche Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Corrado, Raffaella Carrà. Quelli che facevano una televisione “di massa” contro la quale si scagliavano gli intellettuali e che “Blob” denunciava facendola a pezzi e rivoltandola contro se stessa. Oggi ce la prendiamo con i social, che fanno orrore per la violenza e l’intolleranza di molti utenti e sempre più sconcertano per la stupidità che contribuiscono a moltiplicare. Eppure, se tra anni e anni uno storico volesse recuperare testimonianze di vita in diretta ai tempi del Covid, proprio lì dovrebbe andare a scavare, a leggere, a studiare. Gli converrebbe frugare, per capirci qualcosa, tra i nostri post spaventati, arroganti, esasperati, zuccherosi e ostili. Dovrebbe far passare le istantanee delle dirette streaming, le foto dei balconi imbandierati, i link delle più irragionevoli teorie complottiste.

Dalla televisione otterrebbe invece l’impressione che l’epidemia sia stata un avvenimento secondario oppure, se serio, comunque non grave al punto da turbare per davvero i palinsesti, tanto è vero che è stato possibile celebrare degnamente la vittoria di Francesco Aquila a Masterchef. E stica, come certamente qualcuno, sui social, avrà commentato.

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