Bentornati nel 1969. Ma in Irlanda del Nord

Questa settimana abbiamo trovato un paio di cafoni - Erdoğan e Michel - e perduto un principe, Filippo, duca di Edimburgo. Bilancio non troppo positivo, anche perché va considerato che sulla bilancia delle cose tristi va aggiunto il peso di una riesumazione.

Quella della violenza settaria in Irlanda del Nord, esplosa a Derry (o Londonderry come preferiscono dire in Gran Bretagna) e allargatasi ad altri centri come Carrickfergus, Ballymena, Newtownabbey e, infine, Belfast, città ancora oggi percorsa da rigidi confini tra le aree protestanti (o “unioniste”) e cattoliche (o “repubblicane”). Fino a oggi a scatenare la violenza - scontri con la polizia a colpi di bombe molotov che hanno prodotto decine di feriti - sono stati gli unionisti, o comunque gruppi legati a questa fazione della società, nella quale si è creato un legame tra gli “storici” gruppi paramilitari e bande di criminali.

Abituati ormai da generazioni a guardare al Medio Oriente come all’area del mondo in cui la violenza è pronta a esplodere in ogni istante e le divisioni - religiose, sociali e politiche - sembrano inconciliabili e antiche quanto il Dio per cui si dice di combattere, ci siamo dimenticati di questo angolo di Europa che fino a non molto tempo fa è stato teatro di una guerra civile sanguinosissima, a tratti estesa anche al Regno Unito nella sua interezza.

Un conflitto che solo considerando gli anni delle “Troubles” (1969-1998) ha provocato oltre tremila morti in un’area popolata da meno di due milioni di persone. Se ci si rivolge ancor più lontano nel passato, occorre fare i conti con l’intera storia dei rapporti tra Gran Bretagna e Irlanda, nella quale sono compresi episodi come l’invasione di Oliver Cromwell del 1649 che, tra uccisioni, morti per carestia e malattie, chiese un tributo di centinaia di migliaia di anime.

Insomma, ravvivare questo conflitto - in gran parte contenuto dal “Good Friday Agreement” del 1998 - è davvero un suicidio storico, un inciampo clamoroso sul cammino del progresso umano. Si individua, nella ripresa della violenza, la “colpa” della Brexit. Se di “colpa” non è corretto parlare in uno scenario tanto complesso come quello nordirlandese, va detto che lo sganciamento della Gran Bretagna dall’Unione europea non è estraneo al problema. Al fine di evitare di dover creare un “hard border”, ovvero un confine terrestre con tutte le restrizioni doganali tra un Paese Ue e uno extra-Ue, l’Irlanda del Nord è soggetta a un Protocollo in cui ancora valgono alcune regole europee. Questa può essere la ragione - o il pretesto - che ha portato gli unionisti in strada: gente che si sente lasciata fuori dall’Unione alla quale ha sempre giurato fedeltà assoluta, i cui sentimenti la politica e il crimine - qui stretti un’alleanza quasi trasparente - non esitano a sfruttare.

Una miccia facile da accendere che trova presto modo di innescare un’esplosione (cattolici e protestanti con il Good Friday Agreement avevano imparato almeno un poco a coesistere, mai ad amarsi): molto più difficile spegnere le fiamme. Bentornati nel 1969, insomma. E non è una bella cosa.

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