“Care”: è partita la grande raccolta della nuova emoji

Ci è stato tolto l’abbraccio vero e proprio, ma Facebook, che sempre più si comporta come una mamma, tollerante ma pronta a giocare la carta dell’autorità, premurosa ma sempre un poco condiscendente, ci ricompensa con “care”, la nuova emoji, nata nell’incubazione del coronavirus, che vorrebbe darci modo di trasmettere, a distanza di sicurezza, l’espressione della nostra amorevole partecipazione, della solidarietà, dell’affetto più coccoloso.

L’emoji consiste in uno “smiley” giallo che stringe a sé un cuoricino rosso. Essa presenta anche due occhi debitamente ingranditi, a suggerire tenerezza, sovrastati da sopracciglia arcuate in modo da annunciare distensione, apertura, gentilezza: “care”, appunto.

Basterà questa nuova emoji a colmare il vuoto lasciato dal contatto fisico, ovvero a concretizzare, non proprio tangibilmente ma in formula sufficientemente compatibile, lo slogan “distanti ma uniti” il quale, sia pur ripetuto all’infinito, è sembrato fino a oggi un progetto sostanzialmente irrealizzabile? Oppure non è questa la funzione dell’emoji, non precisamente almeno, o forse non soltanto. In fondo, nulla ci impedisce di manifestare affetto a distanza con i mezzi tradizionali: una lettera, anche se elettronica, un messaggio scritto, una telefonata. Che cosa ha in più questa emoji e, già che ci siamo, anche tutte le altre che, poco a poco, ma con incedere comunque risoluto, hanno esautorato ogni precedente modo di dire “mi piace”, “amo questo”, “mi hai fatto ridere” e “sono triste”?

Così a spanne, potremmo dire che, rispetto alle formule più propriamente verbali, le emoji hanno una proprietà oggi considerata fondamentale: si accumulano. Guarda quanti “mi piace”, guarda quanti “mi hai fatto ridere”! L’apprezzamento non è più tale, esso si confonde con la popolarità, con il gradimento su larga scala. Al punto che “chi” ha gradito il nostro post - sia esso una battuta, oppure un’osservazione filosofica, sociale o politica - passa in secondo piano rispetto a “quanti” l’hanno apprezzato. Inoltre, le emoji sono facili da usare, simpatiche, e racchiudono in estrema sintesi il messaggio che vogliamo inviare.

Mittente e destinatario comprendono bene il significato di ogni emoji, anche se non hanno bisogno di tradurlo in parole: come caramelle in una scatola, le emoji promettono ognuna un “sapore” diverso, riconosciuto e convenzionale. Tradurle in parole, oltre che lento e complicato, sarebbe perfino pericoloso: aprirebbe la strada ai distinguo, ai ma, ai se e ai però; merce che oggi non interessa . Tanto è vero che le emoji designate a rappresentare complessità e discernimento, ammesso che esistano, giacciono sconsolate in un angolo del più remoto dimenticatoio.

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