Ciao Darwin

Da oggi abbiamo un motivo in più per alzarci e fare una bella passeggiata. Anzi, arriverò a dire che abbiamo il motivo definitivo per impegnarci in modo costante in questa attività. E non può esserci altra ragione definitiva se non questa: camminare ci fa felici.

Non è un’affermazione da prendersi alla leggere, anche se verrebbe proprio la tentazione di farlo. Tra l’altro, i dubbi si affacciano subito. Farci felici? Forse si intende dire che camminare fa bene alla salute. Oppure che stimola la digestione e risveglia l’appetito. O, ancora, che camminando ci si schiariscono le idee e la tensione accumulata si scioglie un pochino. Tutto questo lo si può accettare, anzi già lo sappiamo. Ma, “felici”?

Invece le cose stanno proprio così, ed è anche scientificamente provato. Certo, bisogna intendersi sul significato (e sul gradiente) di felicità. Ciò che gli scienziati possono assicurare è che il semplice atto del camminare incrementa il nostro livello di buonumore. Per stabilire poi se saremo felici o no, bisogna considerare da quale livello partiamo: se con il serbatoio pieno o mezzo pieno di contentezza, oppure, come capita troppo spesso, se ci ritroviamo in riserva sparata.

Gli scienziati precisano che il risultato - l’incremento della felicità - non ha nulla di funzionale: non siamo “più felici” perché sentiamo di aver migliorato la nostra forma fisica. Non c’è alcun effetto intermedio: un passo dietro l’altro e il buonumore sale. Tutto qui.

Una ragione, in realtà, ci sarebbe e i ricercatori pensano di averla trovata nei meandri dell’evoluzionismo. Ai tempi dei primi passi - letteralmente - dell’uomo sulla Terra il movimento dovette presto associarsi al concetto di ricerca del cibo, e quindi di senso d’anticipazione per un premio, un risultato gratificante. Il cervello interpretava i passi in modo positivo: «Questo si muove per cercare la pappa e non sta chiuso nella caverna a poltrire: buona notizia». Poi arrivò la tv e, come diceva Bonolis, ciao Darwin.

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