Detenuti a vita

"BARI, 21 DIC - Dodici giovani detenuti della Casa circondariale di Lecce hanno iniziato a frequentare nei giorni scorsi un corso di arbitri di calcio a 5. Il progetto è stato chiamato 'Fischietto oltre il muro'. Nelle diverse giornate formative i detenuti impareranno le regole del gioco del calcio, 'per rispettarle e farle rispettare, esattamente come nella vita di tutti i giorni'”.

Per quello che conta - niente - vorrei commentare questa notizia diffusa dall'Ansa esprimendo tutta la mia approvazione per il progetto, anche se non precisamente per le ragioni annunciate dagli ideatori del medesimo. Più che un ruolo in cui si rispettano e si fanno rispettare le regole, l'arbitro nel calcio corrisponde alla figura di chi, nell'aula di tribunale, valuta il comportamento altrui inquadrandolo nel perimetro di ciò che la legge dice. In altre parole, l'arbitro è un giudice.

Nonostante sia ovvio che l'arbitro, come il giudice, debba far riferimento a una serie di regole pre-scritte, la sua incombenza più grave mi sembra quella di modellare la regola sull'individuo, e dunque di giudicarlo per ciò che ha fatto in una determinata circostanza o, sul campo, in un preciso frangente di gioco. Un compito che, appunto, si definisce “arbitrario”, ovvero secondo la Treccani, “che dipende dalla volontà e dall’arbitrio del singolo”. Dunque, potremmo dire, che il detenuto-arbitro sarà chiamato a esercitare sui detenuti-giocatori, o comunque sui giocatori, un potere arbitrario e insindacabile (tali sono le decisioni degli arbitri nel calcio) e pertanto espostissimo alla tentazione dell'abuso, sia per capriccio sia per secondi fini. L'opporre resistenza a questa tentazione sarà, per me, la vera leva educativa del progetto: decidere bene, secondo coscienza, in un contesto nel quale si potrebbe approfittarne per decidere male, secondo incoscienza. Questo sì capita a tanti, “nella vita di tutti i giorni”, e a giudicare dai risultati moltissimi, almeno moralmente, dovrebbero ritenersi detenuti a vita.

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