Dietro le mascherine rimangono le maschere

Questa storia che presto potremo togliere le mascherine, almeno all’aperto, mi ha fatto pensare che, per conseguenza, rivedremo le facce e le facce che rivedremo mi hanno fatto pensare a un film: “Facce”, appunto, di John Cassavetes, anno 1968. In realtà, l’edizione italiana fu distribuita con il titolo di “Volti”, forse per la ragione che “Facce” sembrava brutto (non si sa perché, ma “volto” fa fine e “faccia” fa... schiaffi); nell’originale però il film si chiama “Faces” e per me rimane dunque “Facce”.

Questo di Cassavetes è un film come oggi non se ne fanno più e forse come non se ne guardano nemmeno più. Tutta l’opera di questo regista/attore (e autore indipendente) è un tentativo estremo di “cinema verité”, ovvero di catturare la realtà su pellicola privandola degli schemi e delle convenzioni del cinema classico. E allora: macchina da presa a mano che si “immerge” tra gli attori, stando loro addosso, traballando e muovendosi come in risposta a stimoli imprevedibili.

“Faces” e gli altri film di Cassavetes (citerei il per me bellissimo “Mariti”, un “Amici miei” senza scherzi ma con tanta vera angoscia in più) sono costruiti accostando l’uno all’altro episodi di notevole lunghezza, nei quali gli attori parlano e straparlano, litigano e si riconciliano e, spessissimo, bevono come spugne, barcollano, ridono sguaiatamente e fanno casino.

Abituati come siamo a prodotti patinati anche quando vogliono sembrare di non esserlo, è difficile oggi resistere per oltre due ore davanti a “Faces” - o anche ad altri lavori notevoli come “Una moglie”, “La sera della prima”, “Minnie e Moskowitz” e “L’assassinio di un allibratore cinese” -, quando la trama non sembra andare da nessuna parte, non c’è un colpo di scena ad aspettarci dietro l’angolo e i dialoghi non contengono la giusta misura di battute essenziali quali “Andiamocene da qui”, “Se la caverà” e “Hai il diritto di rimanere in silenzio...”

Niente codici pronti all’uso e subito riconoscibili in “Faces”: solo il tentativo, quasi disperato, di cogliere l’umanità in forma nuda, diretta, indifesa. Ecco perché è proprio il momento giusto per (ri)vederlo: presto, senza mascherine, avremo l’occasione di fare la stessa esperienza. Ci aspetteremo di ritrovare l’umanità così come è e invece, come nel film, finiremo per concludere che dietro le mascherine rimangono le maschere

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