Due parole con la signora Malinpeggio sulla verità

«Allora, signora, come la vede?»

Lo so, lo so: una domanda come questa, buttata lì una mattina di gennaio sotto una fredda pioggia mista a neve, non può che far infuriare la signora Malinpeggio. Troppo vaga, troppo sciatta, troppo stupida. Eppure gliel’ho fatta lo stesso: tanto, ho pensato, prima o poi durante la conversazione la signora si arrabbierà comunque, meglio allora sbrigarsela subito.

«Vedo con gli occhi, sento con le orecchie, annuso con il naso, assaggio con il palato e tasto con i polpastrelli. Se lei ha sistemi alternativi faccia sapere che apriamo un dibattito. Anzi, lo diamo già per chiuso.»

«D’accordo signora, ma vede, la mia domanda, per quanto banale, mirava ad attingere al suo patrimonio di esperienza, alla sua intelligenza, a quelle sensibili antenne che...»

«Perfino nelle lusinghe si dimostra scadente. Lasci le antenne agli artropodi che ne hanno titolo e formuli daccapo.»

«Ci provo. Signora Malinpeggio, lei pensa che presto la situazione si risolverà? Che la pandemia allenterà la morsa? Che tutto questo potrà finire, insomma?»

«No.»

«Ecco. Grazie tante.»

«Non mi si afflosci così. Volevo dire: non credo sia giusto aspettarsi che tutto questo finisca come finisce un temporale, una canzone rap o un’altra calamità a sua scelta. La carta del fatalismo non possiamo permetterci di giocarla. La pandemia finirà quando i nostri sforzi di farla finire prevarranno.»

«Lei allude ai vaccini...»

«Ai vaccini, alle terapie e soprattutto ai comportamenti sociali consapevoli e prudenti. Le sue mani per esempio...»

«Che cosa?»

«Sembra che non se le sia lavate dalla vittoria di Nicola Di Bari a Sanremo nel 1972.»

«Le assicuro che sono pulite. Anche se il terzo posto di Nada, quell’anno, ancora mi sta qui...»

«Vedrà che riuscirà a farsene una ragione.»

«Lo spero. Tornando a noi, quel che lei dice è giusto. Dovrà però ammetterlo: per la gente non è facile raccapezzarsi. Si sente tutto e il contrario di tutto. Bisognerebbe che una buona volta saltasse fuori la verità...»

«La verità?»

«La verità, sì: ha presente...»

«Lo so che cosa è la verità, pisquano di un pisquano!»

Qui devo riconoscere che mi sono un po’ irrigidito: a nessuno piace essere chiamato “pisquano” sotto la pioggia di gennaio. Neppure nel solleone di luglio, se è per questo. La signora però non ha dato segno di essersene accorta.

«Ha delle belle pretese, lei: la verità!»

«E perché non dovrei?»

«Perché la verità in teoria dovrebbe essere prima raccolta e poi enunciata. Capisce il problema?»

«No.»

«Ammesso e non concesso che qualcuno la raccolga, per enunciarla dovrà usare il linguaggio e il linguaggio ha dei limiti. Supponiamo che ci riesca: chi ascolta dovrà decifrare l’enunciato e non è per nulla certo che sarà in grado di farlo. Senza contare che chi raccoglie la verità potrebbe non averne compreso la natura e dunque, nell’enunciarla, finirebbe per distorcerla. Infine, c’è chi per interesse presenta il falso come verità. Ciò considerato, vorrei essere io la verità...»

«E perché mai?»

«Perché passerei inosservata sotto il naso della gente. Nessuno mi riconoscerebbe e...»

«E...»

«E nessuno mi chiederebbe “allora, signora, come la vede?”.»

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