E se andassimo a prendere un caffè da loro?

Il mondo, si sa, è quel luogo dove gli italiani vagano alla ricerca, vana, di un buon caffè. Forte dell’espresso, nelle versioni “lungo” e “ristretto”, ma anche del “macchiato” e del “cappuccino”, il connazionale, varcato il confine, è destinato alla frustrazione: non c’è caffè, là fuori, che possa eguagliare la stretta di gusto che s’accompagna a una tazzina ben fatta. Al contrario, il caffè non-italiano è, per definizione, brodaglia.

L’italiano non manca di lamentarsene, e rumorosamente, specie quando è all’estero, ovvero quando la mancanza dell’espresso si fa emergenza insormontabile. Al punto che ci si chiede per quale ragione abbia scelto di viaggiare quando, con tutta evidenza, la mancanza di un caffè «come si deve» lo rende insopportabile a sé e agli altri.

Per fortuna può sempre contare sulla politica e sui politici. Come Giorgia Meloni, per esempio, autrice, nel giorni scorsi, di un “tweet” estremamente consolatorio per l’italiano de-caffeinato: «Domani aprirà in Italia il primo #Starbucks, catena di “caffè” americana. Mi chiedo come si faccia a preferire le loro bevande al nostro caffè espresso invidiato in tutto il mondo».

Giusto per capire di cosa stiamo parlando, va detto che la catena Starbucks conta globalmente su 27.339 locali e quindi, da un punto di vista commerciale, qualcosa deve pur avere azzeccato, ma poco importa, perché Giorgia Meloni non intendeva affatto parlare di caffè ma voleva servirci, per restare in tema, un espresso, forse anche ristretto, di nazionalismo, che poi è l’attrezzo, storicamente logoro ma sempre efficiente, che le consente di occupare la scena politica.

Certo, è una gran bella cosa voler bene al proprio Paese, apprezzare ciò che di bello e di buono sa offrire e provare orgoglio quando viene tenuto in alta considerazione all’estero, ma la signora Meloni, io credo, vuole di più: con il suo nazionalismo in tazzina pretende di metterci in testa che noi siamo meglio degli altri, di quelli che bevono il caffè da Starbucks, e pertanto è giusto che ci si senta superiori.

Una mentalità, questa, che impoverisce chi la abbraccia, perché impedisce di vedere appena un poco più lontano, di predisporsi a imparare qualcosa di nuovo e impone invece di guardare al prossimo sempre e comunque come a un potenziale nemico.

Negare che l’Italia abbia da offrire tante cose belle e buone è impossibile (e perché mai poi si dovrebbe?) ma rifiutare ciò che viene “da fuori” in nome di una ridicola autarchia del gusto è davvero stupido e avvilente. Con questo non dico che adesso bisogna fare a pugni per entrare da Starbucks: vale la pena, però, alzare il naso dall’espresso per apprendere che una delle migliori qualità di caffè al mondo, il Giamaica Blue Mountain, è importato dai giapponesi per l’80 per cento della produzione. Con quei chicchi, laggiù ci fanno una bevanda dal profumo che fa lacrimare per il godimento e che, al contatto con le papille, trasmette un insopprimibile desiderio di ballare il fox-trot. Purtroppo trattasi di danza che Giorgia Meloni si rifiuta di considerare, preferendole la nostra tarantella. Invidiata anche questa in tutto il mondo, il va sans dire.

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