Ecco cosa c’è sotto gli occhi di tutti: un bel niente

Ci sono espressioni che, specie se provenienti dal costante ping-pong linguistico della politica, dovrebbero subito metterci in allarme. Non si tratta di slogan, giacché quelli, almeno, non si nascondono e anzi gridano, dichiarando così la loro natura, ma piccole collane di parole, agganciate come i componenti di un amminoacido, la cui presenza nelle frasi che ascoltiamo, o nei “post” in cui incappiamo sui social, sembra tanto innocua quanto indispensabile. Appartengono alla frase, questo sì, e sono necessarie alla sua comprensione, ma paiono comunque avere un ruolo umile e marginale: parole gregarie della comunicazione, potremmo dire, ganci che sostengono i quadri: servizievoli, collaborative, ma in sé prive di colore e di significato. Non è proprio così: nessuna parola, in politica, è mai buttata via, specie quando sembra buttata via.

Un’espressione di cui si fa largo uso in questi tempi suona così: «È sotto gli occhi di tutti». Che cosa sarebbe «sotto gli occhi di tutti?» Ciò che non può essere negato, evidentemente, ciò che la collettiva constatazione rende inconfutabile. In altre parole, un dato, qualunque esso sia, che dovrebbe essere tenuto in ferma considerazione prima di avventurarsi in qualsivoglia ragionamento, un’evidenza così forte che chiunque tentasse di ignorarla finirebbe per dichiarare la sua stessa malafede, ovvero il tentativo - peraltro maldestro - di sottrarre alla realtà un dato essenziale alla sua comprensione.

Nell’esercizio della politica - in senso lato: diciamo meglio nell’esercizio della dialettica sui temi sociali - l’espressione «sotto gli occhi di tutti» diventa però un’appendice forzata, un piede nella porta, una spallata alla logica. «È sotto gli occhi di tutti che i nostri avversari sono disonesti; è sotto gli occhi di tutti che hanno governato male; il loro fallimento? È certamente sotto gli occhi di tutti».

Per un momento ogni cosa sembra illuminata di luce oggettiva, tutto sembra stabilito, definito e perfino, in qualche modo, storicamente archiviato. Tanto dovrebbe bastare, direi, per innescare in noi un meccanismo di sospetto: se la «verità sotto gli occhi di tutti» fa (troppo) comodo a qualcuno c’è il caso che proprio verità non sia, o che quantomeno sia una verità incompleta, orfana di un bilanciamento, di un contesto che ne illumini diversamente le conseguenze e di una prospettiva che la metta in giusta proporzione.

Ricorriamo a quella espressione, credo, perché pensiamo che gli occhi non possano ingannare e che la realtà di cui siamo testimoni oculari sia l’unica sulla quale possiamo fare affidamento. Nell’usarla senza discernimento, tuttavia, facciamo finta di non accorgerci che nessuno sa dove «gli occhi di tutti» stiano guardando, da quali pregiudizi siano velati e su quali dettagli abbiano interesse a soffermarsi.

Peggio ancora, gli «occhi di tutti» non esistono affatto: ci sono solo i nostri, di occhi, affaticati, miopi, astigmatici, tormentati dalla congiuntivite, eppure specchio dell’anima, desiderosi di luce e bellezza, offesi dall’oltraggioso e rasserenati dalla grazia. Sempre e comunque, prezioso strumento da usare con generosità e ferma indipendenza di giudizio.

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