Era un giovedì

Oggi è venerdì e c’è uno sciopero dei trasporti. Ecco come, in una riga, consegnare ai posteri una non-notizia. È sempre venerdì quando c’è uno sciopero dei trasporti. A voler essere precisi bisognerebbe affermare che non tutti i venerdì c’è uno sciopero dei trasporti ma se lo sciopero c’è, allora è sicuramente venerdì.

Ammetto di essere coinvolto personalmente dall’argomento di oggi, ma in questa circostanza non c’è deontologia professionale che possa trattenermi dal parlare. Da un lato, devo ammettere che accolgo lo sciopero in letizia: dopo tutto, esso mi dispensa per un giorno dal viaggiare con il servizio ferroviario regionale, esperienza che, passando gli anni, va sempre più trasformandosi in una sorta di malata allucinazione. Dall’altro, io muovermi devo, per questioni di lavoro, e nella mia ingenuità pensavo bastasse pagare le tasse, munirsi di biglietto e controllare l’orario.

Non è così, ovviamente: il calendario prevede i venerdì e alcuni venerdì prevedono uno sciopero. Pur toccato personalmente non vorrei spingermi a negare ai lavoratori il diritto allo sciopero: è stata una conquista, ricordiamolo, ottenuta con il sangue. Ma è proprio per questo che lo scioperino del venerdì, con vista sul weekend, con motivazioni sempre nascoste tra le pieghe, sfacciatamente vaghe e buone per tutte le occasioni, in fondo è un vero e proprio insulto alle storiche lotte dei lavoratori.

Giusto per un ripassino, facciamo un viaggio nel tempo, fino a uno sciopero che portò addirittura alle dimissioni del governo. Siamo nel dicembre del 1900 quando il prefetto di Genova decide di chiudere la Camera del lavoro. Il provvedimento viene disposto il 18 dicembre. Il giorno dopo, i documenti conservati nella sede vengono sequestrati e la sede stessa sprangata. La sera, i lavoratori del porto proclamano uno sciopero generale, effettivo dal giorno dopo: 20 dicembre 1900. Indovinate? Era un giovedì.

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