Futuro garantito per i santoni. Se “non autorizzati”

Sempre istruttivo il notiziario di cronaca dell’Ansa, specie quando racconta di fatterelli in apparenza marginali. Un lavoro condotto ogni giorno, in città come in provincia, che assomiglia a un enorme puzzle: metti insieme un po’ di notizie e avrai un ritratto preciso del Paese.

Leggiamone dunque una, di queste notizie: viene fresca fresca da Firenze:

«Farmaci cinesi indicati come efficaci contro il Covid ma non autorizzati per l’importazione e per la vendita sul territorio italiano, per un totale di 10mila pillole, sono stati sequestrati dalla guardia di finanza di Firenze nell’abitazione di una donna originaria della Cina. La donna, che secondo la ricostruzione delle fiamme gialle avrebbe venduto i farmaci a domicilio, è stata denunciata per ricettazione, commercializzazione e somministrazione abusiva di farmaci non autorizzati. Le verifiche sono scattate dopo che la donna, fermata per un controllo mentre viaggiava sulla propria auto, è stata trovata in possesso di numerose confezioni di farmaci non autorizzati. Sequestrati nella sua abitazione anche 3.000 tra confezioni di sciroppo e bustine granulari, sempre di origine cinese, indicate come efficaci contro i sintomi influenzali, oltre a diversi sacchi contenenti un preparato di erbe definito “anti-coronavirus”».

Il cronista non specifica quale fosse volume d’affari sostenuto dalla donna, ma vista la quantità di “medicinali” immagazzinata, è lecito pensare che non fosse poi tanto modesto. Il che ci autorizza a riflettere su questa singolarità: dal sospetto, addirittura dal sentimento anti-cinese emerso nelle prime fasi della pandemia, siamo passati alla disponibilità ad acquistare dagli stessi cinesi medicinali “non autorizzati” per la cura del coronavirus.

È possibile che i “medicinali” sequestrati appartengano a quella pratica antichissima che va sotto il nome di “medicina cinese”: tutta una scuola di rimedi, terapie, alimenti ricostituenti e quant’altro che, in Oriente, è tranquillamente affiancata alla medicina tradizionale nonostante non vi sia prova scientifica della sua efficacia e si abbiano solo riscontri empirici, in alcuni casi, dei benefici che apporta.

In ogni caso, la generale sfiducia per ciò che è “ufficiale” o “autorizzato” ha raggiunto un punto per cui qualcuno si dimostra disponibile a ingerire un intruglio non meglio specificato piuttosto che dare soddisfazione a una casa farmaceutica o a un istituto sanitario riconosciuto. Abbiamo più fiducia nel maneggione di turno che nello specialista dotato di laurea e specifica attestazione di professionalità.

Questo, forse, perché l’ufficialità rimanda a un’autorità e l’autorità è “per forza” doppia e disonesta, infida e manipolatrice. Meglio aiutarci tra noi: “fai girare”, “massima diffusione”, “ecco quello che lorsignori non dicono”. Ciò stabilito, è dunque il momento di buttarsi nel business della panzana, dell’alchimia, della ricerca della pietra filosofale. Basta proporsi come guaritori, magari perfino disinteressati (a parte un ovvio rimborso spese) e comunque sempre disponibili e alla mano. L’unica cosa da evitare è di proclamarsi santoni “autorizzati”: gli affari si scioglierebbero come neve al sole.

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