Il tonico di Jeeves

Temo sia ormai diffusa, al principio di ogni settimana, la sensazione che tutto può accadere prima che la medesima sia finita. E con tutto intendo niente: niente di buono. Così, per questo primo lunedì di settembre, ho pensato di offrirvi un inizio letterario. Si tratta di uno dei classici risvegli che P. G. Wodehouse – autore della sagra di Jeeves e Wooster – metteva spesso in apertura dei suoi romanzi.

Nell’incominciare la giornata, l’eroe di Wodehouse, il fatuo ma brillante Bertram “Bertie” Wooster, dopo una notte di stravizi si affidava alle mani (e soprattutto alla mente) del suo “gentleman’s gentleman”, il formidabile Jeeves. Facciamolo anche noi, in questa “buonanotte” diventata “buongiorno”, e speriamo bene.

- Allungai una mano fuori dalle coperte e suonai il campanello per chiamare Jeeves.

“Buona sera, Jeeves”.

“Buon giorno, signore”.

Questo mi meravigliò.

“È giorno?”

“Sì, signore”.

“Ne sei certo? Sembra buio, fuori.”

“C’è la nebbia, signore. Come ricorderà siamo in autunno... stagione delle nebbie e della dolce fecondità”.

“Stagione di che?”

“Delle nebbie, signore, e della dolce fecondità”.

“Eh? Sì, sì, capisco. Comunque sia, portami uno di quei tuoi tonici, da bravo”.

“Ne ho uno già pronto, signore, nella ghiacciaia”.

Jeeves si dileguò e io mi rizzai a sedere sul letto con quella sensazione spiacevole che si prova, talvolta, di dover morire nel giro di cinque minuti. (...)

Jeeves ritornò con il tonico. Me lo scaraventai giù per l’esofago e, dopo aver subito il momentaneo disagio – inevitabile quando si bevono i tonici mattutini brevettati da Jeeves – di sentimi schizzare in aria la sommità del capo e gli occhi uscire dalle orbite e andare a rimbalzare contro la parete di fronte come palle da tennis, mi sentii meglio. Sarebbe stato esagerato affermare che Bertram era tornato in buona forma, ma almeno ero passato al reparto convalescenti e mi sentivo in grado di sostenere una conversazione.

(P. G. Wodehouse, “Il codice dei Wooster”, Polillo editore, 2005)

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