Il tranquillo ricordo di un certo John Lennon

Nel trentottesimo anniversario di qualunque cosa c’è di buono che non è il quarantesimo o il trentesimo. E neanche il trentacinquesimo. In altre parole, non si tratta di una ricorrenza “tonda”, o “semitonda” e la differenza sta tutta nel fatto che queste ultime raccolgono frotte di commentatori i quali, specie se scrivono per i giornali, fanno a gara ad anticiparle, in modo di essere i primi a parlarne.

Ecco dunque che in pieno agosto ci ritroviamo a leggere di anniversari che cadono nella stagione della neve e, al primo dell’anno, smaltendo il bicchiere di troppo consumato la sera prima, ci viene propinata una commemorazione che, a guardar bene, cadrebbe ufficialmente verso il solstizio d’estate.

Un trentottesimo anniversario passa invece quasi inosservato e questo ha i suoi vantaggi. Per esempio quello di trasformare ogni sporadica commemorazione in qualcosa di privato e di conseguenza di intimo. Inoltre, c’è modo di prendersela comoda: non occorre commemorare il giorno stesso e neanche il giorno prima. Addirittura, può essere accettabile farlo un giorno dopo. Questa che state leggendo è appunto una commemorazione a scoppio (leggermente) ritardato ma, credo, nessuno se ne risentirà.

Era l’8 dicembre 1980 quando John Lennon veniva assassinato nell’ingresso del palazzo di New York dove abitava (e dove tutt’ora abita Yoko Ono) da un mattoide che, poche ore prima, l’aveva fermato nello stesso punto per chiedergli un autografo. Lennon era un personaggio di tale magnitudine da escludere che perfino il trentottesimo anniversario della sua scomparsa possa diventare un fatto completamente personale e intimo. I ricordi che si sono letti in questi giorni sono stati però quasi sommessi, in alcuni casi decisamente sentimentali: nessuno ha mostrato pretese sociologiche o storiche e nessuno ha azzardato simbolismi o coincidenze geopolitiche, tirando in ballo il Muro di Berlino, la crisi del capitalismo e la fine della Storia. Questi son calibri grossi che verranno buoni per il quarantesimo.

Il New Yorker si è limitato a pubblicare sul suo sito un articolo uscito il 29 dicembre del 1980, quando una folla radunata a Central Park rese commosso omaggio a Lennon osservando dieci minuti di silenzio assoluto. “ The sounds of silence - Quietly remembering John Lennon”, il titolo di quello scritto.

Che qualcosa e qualcuno possa essere ricordato “quietamente”, addirittura circoscrivendo il pensiero in parentesi di silenzio, pare oggi l’occasione migliore, l’unica forse, per riguadagnare concretamente il valore della persona o della cosa che andiamo ricordando. Altrimenti, non riusciremmo a sfuggire alla competizione un poco isterica per la migliore citazione, per l’articolo più criptico, per la “rivelazione” inedita più inedita (e quasi mai veramente inedita o comunque rilevante) e per i tentativi di scippo ideologico: Lennon arruolato in un campo o nell’altro a seconda della convenienza e del punto di vista. Nell’anno trentotto del dopo Lennon, possiamo invece ricordare la sua musica e la sua ironia, e comprendere esattamente ciò che l’una e l’altra comunicavano al mondo. In totale assenza, tra l’altro, di spray al peperoncino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA