In un documentario l’inizio della nostra fine

Vien da chiedersi, tra una maratona di Mentana e l’altra, se il clima estivo non stia influenzando questa crisi di governo.

Non tanto (o non solo) nei comportamenti dei protagonisti, ovvero il presidente della Repubblica e i capi di partito impegnati nella trattativa, quanto in noialtri cittadini che proprio cittadini non siamo perché, armati di social e di opinioni nette e intransigenti che, in realtà, nessuno ci obbliga ad avere e tantomeno a ostentare, ci trasformiamo in tifosi, divisi sulla spiaggia in fazioni tanto animose quanto sbracate.

C’è un’aria, insomma, da Europei o Mondiali di calcio, quando di colpo si molla il racchettone e l’acquagym perché è scoppiato un quarto di finale con la Bulgaria e scatta la corsa al maxischermo.

La differenza è che durante la partita tocca improvvisare un minimo di unità nazionale a sostegno della maglia azzurra (anche se rimane libertà assoluta di accapigliarsi sul c.t.), mentre nel caso della crisi politica la divisione è consustanziale all’evento. E non si tratta, attenzione, di una spaccatura ancora in qualche modo collegata alla realtà, come quella che divideva gli italiani nel primo e nel secondo dopoguerra: si tratta di una divisione molto più superficiale e nello stesso tempo insanabile, stupida e feroce insieme.

È la divisione intermediata e alimentata dai mezzi di comunicazione di massa e da Internet. Le ipotesi si moltiplicano sull’origine, o meglio sulla sorgente di questo veleno che scorre tra noi ormai da tanti anni. Per far chiarezza potremmo forse rivolgerci a un interessante film-documentario che, uscito nel 2015, è disponibile in streaming su Netflix.

Si intitola “Best of enemies” e in poco meno di 90 minuti ricostruisce i dibattiti televisivi che videro affrontarsi, in occasione delle elezioni presidenziali americane del 1968, due formidabili intellettuali dell’epoca: il conservatore William F. Buckley Jr. e il progressista Gore Vidal. Il network Abc pensava in questo modo di ovviare a un budget ridotto che rendeva difficoltoso competere con i concorrenti Cbs e Nbc e i loro battaglioni di inviati alle “convention” dei partiti. Funzionò, perché Buckley e Vidal misero in campo, oltre a cultura ed eloquenza, un’antipatia reciproca e una visione del mondo diametralmente opposta,che riempivano di tensione le loro discussioni, come se nell’aria si avvertisse l’imminenza di uno scontro fisico (e poco mancò che ci si arrivasse per davvero).

Secondo “Best of enemies”, i dibattiti Buckley-Vidal trasformarono la storia della televisione, imprimendole quella traiettoria verso la faziosità, lo scontro acceso quanto sterile e la chiacchiera aggressiva che ben conosciamo oggi.

C’è del vero, in questo: con quei due la tv scoprì che lo scontro verbale fa audience e l’odio anche di più. Intendiamoci: quei lontani duelli, rivisti oggi, fanno sorridere, e stupiscono per la forbita eloquenza dei contendenti. L’inerzia però era stata mossa e da lì la valanga s’è ingrossata rotolando e rotolando ancora, appesantita dalla volgarità, accelerata dall’incoerenza e dall’ignoranza, in un turbinare di pernacchie, saluti romani e vaffanculi genovesi, bestialità istituzionali, manovrine di partito, mojiti, liti al parcheggio e sguaiati appelli al popolo delle sdraio. Ci ritroviamo alla fine con un comparativo rovesciato: da “migliori nemici” (“best of enemies”) a “peggiori connazionali”.

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