La fine del (nostro) mondo come abitudine interrotta

Una cosa si può dire che l’abbiamo capita: è difficile cambiare le nostre abitudini. Messe una sopra l’altra o, se preferite, una dietro l’altra, le abitudini formano quella massa che potremmo chiamare “stile di vita”. Ecco però arrivare un virus che ci cambia non giusto qualche abitudine qui e là - il che, con la sensibilità attuale sarebbe comunque un disagio -, ma proprio tutta la massa al completo. Lo “stile di vita”, che comprendeva gite, ristoranti, palestre, voli più o meno lunghi, visite ad amici e parenti, varie ed eventuali, si è ridotto in uno spazio che, letteralmente, va dalla cucina al salotto.

Ma lo sconvolgimento delle abitudini è tanto più grave perché è proprio sulle abitudini che abbiamo basato tutto il nostro sistema sociale ed economico. Abbiamo sfruttato le abitudini per fare business e quando le abitudini correnti non bastavano più ne abbiamo inventate di nuove. Adesso non solo facciamo fatica a rinunciarvi ma non possiamo proprio permettercelo: il taglio di un’abitudine costa troppo. Non in termini di rinuncia personale, ma in istantanee ripercussioni economiche.

L’impossibilità, oggi, per il mercato di grattare qualsivoglia prurito emerga nel pubblico, e di far diventare tale grattatina un affare, mette in crisi tutto il sistema.

In passato, credo, la gente comune era più abituata a rinunciare alle abitudini. Una società basata, per esempio, sull’agricoltura, poteva permettersi di dare ben poco per scontato. Forse per questa ragione la frugalità e la parsimonia erano attrezzi sempre pronti a rendere il loro servizio. Oggi non si sa neanche più se queste cose siano qualità o meno. In teoria sì: sappiamo bene che scialare e sprecare sono pessime abitudini. In pratica, no: la crescita del consumo è ciò che spinge avanti un mondo basato sul credito. E in questo mondo c’è poca tolleranza per chi, come la nonna, salvava il pane raffermo per farci la zuppa.

Chissà, forse il virus trasformerà di nuovo parsimonia e frugalità in qualità vere e non solo teoriche. Torneranno i cappotti rivoltati e i calzini rammendati, le ricette da preparare con gli avanzi e, per gli impiegati, i manicotti da indossare in modo da non consumare i gomiti della giacchetta.

Ma è anche probabile che, piano piano, riguadagneremo le nostre abitudini una a una, senza parere, da quei bravi mollaccioni che in fondo siamo, e se per caso dovessimo sentirci un po’ in colpa, potremo sempre sostenere che lo facciamo per il bene dell’economia.

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