La morte di Rhoda e il Gran Finale dello show

E così se n’è andata anche Rhoda. Traduco per i non iniziati: Rhoda è (era) uno dei personaggi della serie tv “Mary Tyler Moore”, girata tra il 1970 e il 1977 ma presente sui teleschermi italiani anche ad anni Ottanta inoltrati. Un personaggio della tv “se ne va” quando il programma di cui fa parte finisce ma anche, e soprattutto, quando muore l’attore che lo interpreta, ed è questo il nostro caso. L’attrice Valerie Harper, che appunto impersonava Rhoda, è scomparsa nei giorni scorsi all’età di 80 anni.

Morta lei, e morti la protagonista Mary Tyler Moore e l’attore Ted Knight (nella serie l’annunciatore Ted Baxter), di quel cast restano con noi Ed Asner (il capocronista Lou Grant), Gavin Macleod (il redattore Murray Slaughter; in seguito capitano Stubing per “Love boat” nonché, oggi, predicatore evangelico a tempo pieno) e Cloris Leachman (la vicina di casa Phyllis Lindstrom): non pochi, è vero, ma un certo senso di progressivo sgretolamento del mito si avverte acuto.

Immagino che siccome nella vita ci sono già tante occasioni gravi per provare rimpianto e nostalgia, penserete che mettersi a lutto per un telefilm sia fuori luogo e lo è di certo, se non fosse che ognuno di noi ha solo un relativo controllo del bagaglio di affetti, sentimenti e ricordi che porta con sé. Nel mio caso - ma ho scoperto che non sono affatto solo - la serie “Mary Tyler Moore” si è assicurata un posticino privilegiato in questa specie di scatolone mentale pieno di ritagli, istantanee sbiadite, souvenir ammaccati e fiori secchi.

Se ci è riuscito, credo, è per via di personaggi davvero straordinari (la protagonista in cerca di una decente indipendenza, l’amica mordace ma fragile, la vicina solo apparentemente emancipata, l’anchorman bello ma babbeo, il capufficio ruvido e tuttavia generoso) in grado di produrre empatia in chiunque.

È poi questione di tempistica: guardare “Mary Tyler Moore” da adolescenti metteva in contatto con l’ipotesi di un mondo i cui abitanti, tutt’altro che esenti da difetti, manie e vere e proprie ossessioni, finivano per aggiustare le proprie esistenze contando solo sull’intelligenza, l’amicizia e, soprattutto, una ragguardevole dose di ironia. Oggi, da adulto ormai più che conclamato, ancora non sono riuscito a trovare, nella realtà, un posto che sia paragonabile a quello creato dallo show, il che però non vuol dire che debba smettere di considerarlo un punto di riferimento.

Appartiene anch’esso alla grande narrativa che ognuno di noi coltiva per sé, costruendola da fonti “alte” e “basse” insieme: Tolstoj e Charlie Brown, Ingmar Bergman e Dino Risi, Beethoven e Furia Cavallo del West. È la narrativa con cui spesso misuriamo valori e dilemmi, speranze e progetti. Così, la morte di Rhoda mi tocca e mi colpisce perché non basta il conforto dell’incorruttibilità della finzione: la scomparsa dell’attrice che le diede corpo aggiunge all’insieme narrativo un’indicazione di declino e di affievolimento e annuncia anch’essa il Gran Finale, accostandosi al quale si può solo sperare di aver vissuto all’altezza dei propri eroi, siano essi Socrate, Joyce, i Beatles o Paperino.

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