La nostalgia non viaggia a 319 Tbps

L’uomo tecnologico del 2021 - cablato a fibra ottica, perennemente attaccato al wi-fi come un tempo s’attaccava al tram, abbonato a cinque o sei servizi streaming nonché sempre e comunque chino a abbronzarsi al sole i cui raggi promanano dallo schermo dello smartphone - guarda al vecchio modem 56k come il possessore di una Tesla guarda allo storico modello T della Ford: una reliquia da considerare con curiosità e ironia. Davvero la Rete passava per quel coso che, prima di mettersi al lavoro, aveva necessità di strillare e fischiare per qualche secondo? Emetteva forse anche qualche sbuffo di vapore acqueo? E il carbone, da che parte si infilava il carbone nella fornace?

Eppure, per quanta ironia possiamo rivolgere al povero 56k, quelli che percorriamo oggi sono comunque sentieri accidentati, viottoli a malapena tracciati nella prateria, in confronto alle autostrade della Rete che ci aspettano in un prossimo futuro.

La prima di queste strade ad alta velocità, che fanno sembrare i Frecciarossa modellini statici da museo, l’ha aperta il Giappone, anche se in via soltanto sperimentale. Gli scienziati dell’Istituto nazionale per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno infatti stabilito il nuovo record di velocità per la trasmissione dati portandolo a 319 Tbps (Terabit per secondo). A questa velocità, ci dicono, è possibile scaricare 7mila film ad alta definizione al secondo. In un minuto se ne scaricherebbero dunque 420mila. Calcolando una media di due ore a film, avremmo 840mila ore di spettacolo televisivo, pari a 35mila giorni, ovvero quasi 96 anni. Questi i tempi minimi di visione, a patto cioè che si osservi un assoluto e mostruoso “binge watching” privo di pause per il bagno, il cibo, il sonno, le relazioni sentimentali, il lavoro e tutto ciò che, appartenendo alla vita vissuta, consideriamo ormai con crescente insofferenza.

A pensarci bene, il modem 56k non è affatto lo strumento più lento e macchinoso attraverso il quale immergersi nel fiume delle informazioni. Restiamo nel campo della fruizione cinematografica: prima ancora che il concetto di modem si formasse nelle nostre teste, per vedere un film era necessario sfogliare un giornale, leggere una recensione o quantomeno un “flano” pubblicitario, consultare la colonna delle sale cinematografiche per informarsi sugli orari di inizio degli spettacoli, uscire di casa, raggiungere la sala, pagare il biglietto e attendere l’inizio del film.

Un processo praticabile - e, per fortuna, praticato - ancora oggi, così come sono praticabili altre faccende poco digitali ma molto familiari: leggere un libro (e non un ebook), posare un disco sul giradischi (e non aprire il rubinetto della musica liquida), inviare una lettera (e non una mail o un messaggio WhatsApp). Tutte però godono di una specie di grazia, di condono: le si tiene in vita perché appagano il gusto di qualche intenditore, oppure a conferma di abitudini radicate e a completamento di collezioni puntigliose. Manca oggi, in questi processi, il pungolo nella necessità, la forza della mancanza di alternative, che ne faceva ambiti precisi e assoluti delle nostre vite, gettando le premesse di quel sentimento che oggi proviamo sempre più spesso: la nostalgia. Alla velocità 319 Tbps la nostalgia passa invece invisibile come un proiettile che si perda all’orizzonte, senza mai far centro nel cuore.

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