La prigione dentro

Perdonate la domanda indiscreta: voi credete che le persone possano cambiare? Hollywood, nei suoi film, ci fa credere di sì. Questo è il meccanismo di gran parte della trame cinematografiche: il protagonista o la protagonista si trovano all'inizio ben impiantati in una situazione e convivono con essa tramite la coerenza e l'ostinazione; poi qualcosa interviene a modificare il loro status quo e devono reagire. E sarà proprio questa reazione a portarli, loro malgrado ma spesso per il meglio, al cambiamento. Ma le persone reali? Sono in grado di seguire lo stesso processo? Alcuni immagino ci riescano, ma si tratta della maggioranza?

Un apparente caso di impossibilità a cambiare ci è servito in questi giorni dalla cronaca giudiziaria. Graziano Mesina, classe 1942, per decenni protagonista della cronaca criminale e, in qualche modo, consegnato ai libri di Storia come uno dei massimi rappresentanti del cosiddetto banditismo sardo, è stato condannato a 30 anni di carcere dal Tribunale di Cagliari per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Una sentenza particolare perché in essa si dispone anche la revoca della grazia concessa a Mesina nel 2004 dal Presidente della Repubblica.

Dopo una vita per la gran parte trascorsa in carcere e, quando libero, a guardarsi le spalle nell'evenienza di ritrovarsi le manette ai polsi, si potrebbe pensare che "Grazianeddu" avesse programmato per la sua vecchiaia un'esistenza più tranquilla limitandosi semmai, per tenere vivo il gusto della trasgressione, a qualche parcheggio oltre il limite del disco orario. Niente del genere, secondo il Tribunale di Cagliari. Ma forse la verità su Mesina la si scopre ascoltando le parole da lui dirette al pubblico ministero: "Una carcerazione di oltre sei mesi equivale per me alla pena di morte. E poi dicono che in Italia la pena di morte non c'è". Laddove la responsabilità individuale è negata con la scusa della persecuzione - dello Stato piuttosto che di altre autorità a convenienza - non c'è aria per il cambiamento. E la prigione è dentro di noi.

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