La prossima fatica

A proposito di frasi fatte (dico “a proposito” perché appena qualche giorno fa scrivevo un appello affinché si trovasse un’alternativa a “spacco vertiginoso”) l’avvento della Mostra del cinema di Venezia ha innalzato, nei media, il tasso delle “ultime fatiche”.

Dicesi “ultima fatica” un qualunque film, non importa se bello o brutto, capolavoro o ciofeca, appena ultimato e presentato in concorso (o fuori) a un festival. La fatica, naturalmente, la si attribuisce al regista perché, si sa, tutti gli altri sul set non fanno una mazza dalla mattina alla sera. Ecco l’ultima fatica di Virzì, di Sorrentino, di Nolan e di tutti gli altri maestri (e faticatori) del grande schermo.

Non dubito che il cinema sia fatica, tutta l’arte certamente lo è, ma è curioso che si usi questa parola in un contesto in cui, oltre alla fatica, si immaginano ben altre forze - intellettuali, critiche, organizzative - al lavoro. Certamente è un’espressione che vuole esaltare lo sforzo creativo (che in quanto sforzo produce fatica) ma occorre fare notare che per chi fatica davvero non c’è mai la soddisfazione di questo solenne riconoscimento. Nessuno mostra mai agli amici il bagno ristrutturato dicendo “ecco l’ultima fatica del mio idraulico”, oppure esalta le pareti verniciate di fresco come “l’ultima fatica dell’imbianchino”. Forse perché, poco artistici come sono, idraulico e imbianchino farebbero gli scongiuri. Per chi lavora, in fondo, l’ultima fatica è già la prossima.

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