L’avete già visto “C’era una volta a... Pompei”?

A onta del nostro disinteresse, il passato continua a fornirci sorprese straordinarie. Purtroppo, noi ci curiamo soltanto del futuro: al terzo bianchino, non ne temiamo più neppure l’indeterminatezza. Col gomito sul bancone del bar - e, più spesso, con le dita sulla tastiera del computer - dispensiamo certezze circa lo scacchiere geopolitico, i flussi migratori, la strategia economica di Trump e, naturalmente, le chance del Milan di agganciare la zona Uefa. Il passato, invece, è andato. Due guerre puniche, un Giulio Cesare, Tullio Ostilio, Numa Pompilio, la guerra mondiale, il Vietnam, Napoleone, Mussolini e ti saluto: che altro c’è da scoprire?

Beh, per esempio un affresco emerso durante i lavori di scavo di recente eseguiti a Pompei per la messa in sicurezza dell’area Regio V. L’affresco, dai colori vivissimi, come appena stesi, raffigura due gladiatori al termine del combattimento: uno è chiaramente sconfitto, l’altro trionfa.

«Si tratta - spiega il ministero dei Beni culturali - della scena di un combattimento tra un “Mirmilione” e un “Trace”, due tipologie di lottatori distinti da armature differenti e classici avversari nelle lotte gladiatorie».

Nell’affresco, il gladiatore soccombente è il “Trace”: l’artista ha voluto mostrare con chiarezza le ferite da costui subite nel corso della lotta, in particolare a un polso e al petto. L’uomo sprizza sangue dal torace e di sangue sono intrisi anche i gambali che indossa.

Non sappiamo quale fosse lo scopo dell’artista nel realizzare questo lavoro: un’opera semplicemente decorativa, forse, o più probabilmente un omaggio al coraggio dei gladiatori. Potrebbe addirittura trattarsi di una sorta di manifesto, un poster per “far pubblicità” a questo tipo di manifestazioni. Data l’intensità della scena e il largo impiego di colore rosso per rendere il sangue versato, l’equivalente contemporaneo dell’affresco di Pompei potrebbe essere un manifesto per un film di Quentin Tarantino: “Pompei Fiction”, per dire, oppure “Et detestabilis octo”.

La differenza, naturalmente, è che i manifesti di Tarantino rimandano a una violenza solo rappresentata, diventata spettacolo immaginario, ovvero teatro, giostra, racconto, divertimento e perfino estetica. I duelli dei gladiatori erano invece ben altra cosa: spettacoli sì, ma fatti di vero orrore, reality show nei cui l’“eliminazione”, termine poi immiserito dai rituali televisivi, aveva un carattere definitivo.

Lo spettacolo della violenza è diventato oggi - per fortuna - solo un agitarsi di gusci vuoti attraverso i quali siamo in grado di descrivere noi stessi, criticarci e perfino metterci in ridicolo. Rimane però quella potente fascinazione che ispira scrittori e sceneggiatori, cineasti e fotografi e che certamente mosse anche la mano e il pennello dell’anonimo pittore pompeiano: “C’era una volta a... Pompei”, insomma. E c’è ancora.

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