Le nuove teorie sulla superiorità della pizza

Direi che la nostra posizione non fa una grinza. Siccome mai poi mai ci siamo permessi di giudicare la buonafede di un arbitro chiamato a dirigere una partita della Nazionale, o di una squadra italiana all’estero, siccome il sospetto, l’ammiccamento e l’insinuazione sono da sempre estranei alla nostra natura e neppure una volta, magari per sbaglio, abbiamo osato contestare la legittimità dei successi altrui, limitandoci sempre ad applausi, pacche sulla spalle e telegrammi di felicitazioni, ecco che legittimamente ci risentiamo quando qualcuno, per la verità in completa assenza di prove e in assoluta mancanza di argomentazioni passabili, avanza sospetti sugli straordinari successi dei nostri atleti alle Olimpiadi.

Ma come? Noi che mai ci siamo permessi una battuta sull’assenza di bidet nei bagni di alcuni Paesi a noi vicini; noi, che allo stadio applaudiamo graziosamente le prodezze degli avversari e neppure sotto la minaccia delle armi ci lasceremmo scappare un “buuu” di scherno e di disprezzo; noi, infallibilmente privi di qualunque ombra xenofoba, impermeabili ai luoghi comuni, mai provinciali, neanche per un secondo, sciolti come pochi nelle lingue straniere (più che padroneggiarle, va detto, spesso per non sbagliare le prendiamo proprio in ostaggio); noi, cosmopoliti e perfino un po’ cosmonauti, proprio noi, dicevamo, ci ritroviamo bersaglio dell’ironia più grossolana, del sospetto più volgare e irrispettoso?

Giusta dunque la nostra indignazione, il nostro sarcasmo ferito, la nostra irrisione a pieno volume. E giusti, anzi giustissimi, gli sfottò che - e qui dico sul serio - ci stanno benissimo, arricchiti come sono oggi dai “meme” che circolano in Rete, alcuni dei quali davvero molto divertenti.

Sarebbero anche più divertenti, io credo, se portassero infine a qualche ragionamento meno di bandiera e più di testa. Per esempio, avremmo potuto accorgerci che nel risentimento e nella ripicca tutti gli uomini - italiani, inglesi o francesi non importa - sono fratelli (anzi, fratellini perché l’una e l’altra portano ad atteggiamenti infantili) e che basta un centesimo di secondo di differenza per trovarci schierati da una parte piuttosto che dall’altra. Eppure quel centesimo di secondo diventa poi sorgente di un fiume di retorica, di analisi pseudo-sociologica, di teorie se non sulla superiorità della razza almeno su quella della pizza, di commenti tanto pomposi quanto, bisogna dirlo, irrilevanti.

Il punto, invece, è che queste medaglie dopo averle vinte dobbiamo guadagnarcele. Non gli atleti, che le hanno conquistate con pieno merito godendo così il frutto di grandissimi sacrifici, ma il resto di noi tifosi, che abbiamo approfittato di Tokyo per muovere contro Londra, Parigi e, già che c’eravamo (tra le nostre virtù c’è anche la modestia), contro Berlino e Washington. Mentre noi marciamo sulle principali capitali mondiali forti delle medaglie vinte da altri, nelle nostre città stadi, piste di atletica e palazzetti cadono a pezzi, le piscine aprono a singhiozzo e, a livello nazionale, la spesa pubblica pro capite per lo sport è molto inferiore alla media europea. Ma nessuno,stranamente, reclama medaglie anche per questi exploit.

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