Le tante meraviglie del verbo “riaprire”

Aprire è un buon verbo; “riaprire” è anche meglio. Da quando il governo ha lasciato intendere che il 26 aprile potremo - forse, chissà, pare, addirittura - tornare in zona gialla, nel Paese si fa uso e abuso di questo verbo il quale, lo scopriamo con un poco di stupore, presenta tante sfumature diverse, a volte perfino contraddittorie che tuttavia oggi ci sembrano comunque meravigliose, piene di speranza e di ottimismo.


Lasciamoci allora guidare dalla Treccani alla scoperta di un verbo transitivo che, tanto per incominciare, sta a intendere «aprire di nuovo». Che cosa? La Treccani propone «la porta, la finestra, le imposte, una cassa, un cassetto, l’armadio e il rubinetto dell’acqua». Notare che l’ordine definito dall’autorevole istituto è più che corretto: prima si aprono porte e finestre e poi si procede con casse, cassetti, armadi e rubinetti. L’operazione contraria potrebbe portare a incidenti spiacevoli.

Riaprire si adatta meravigliosamente anche agli occhi: li riapre, al risveglio, chi è addormentato, oppure svenuto, ma, figurativamente, anche chi «dopo un periodo di illusione, riacquista nozione della realtà». Attenzione, però: c’è il caso che a riaprirsi sia una piaga o una ferita, o un ricordo doloroso. Riaprire è dunque un atto di coraggio e di sfida, l’occasione per superare un trauma che fino a oggi avevamo lenito ma non cancellato, nascosto ma non eliminato.

La Treccani concede poi pieno riconoscimento al significato del verbo che oggi più ci preme: «Di istituti, pubblici esercizi, luoghi aperti al pubblico, o destinati a funzioni politiche o amministrative o di trattenimento, aprirli in modo che incomincino di nuovo a essere frequentati o a funzionare». Ecco, Treccani, spiegaglielo bene al Covid che proprio di questo abbiamo bisogno. Intanto, il vocabolario propone una serie di esempi in crescendo rossiniano. Che cosa si può riaprire? «Le scuole, una via, un ponte, i giardini pubblici, il museo civico, un ristorante, un’agenzia, una bottega, la Camera, il Senato, il tribunale, gli uffici postali, la banca, il teatro». Qui l’ordine è un po’ confuso, perché ti sfido a riaprire la scuola prima della strada che consente di arrivarci, ma è una svista da attribuirsi all’entusiasmo. Ci sono altre occasioni in cui possiamo felicemente utilizzare questo verbo: per riaprire una seduta, per esempio, oppure le iscrizioni a un corso e a un concorso, con evidenti guadagni in fatto di amministrazione, istruzione, programmazione del lavoro, ma, se capita, saremo in grado anche di riaprire un caso, un’inchiesta e perfino un processo, a tutto vantaggio, si intende, della giustizia.

Infine, il verbo “riaprire” si accompagna felicemente, un po’ come un Barbera e il risotto coi funghi, al concetto di “restauro”. Dopo il “restauro” di solito si “riapre”, in ghingheri noi e ciò che è stato restaurato il cui passato, per nulla soppresso, è tuttavia ricondotto in termini più accettabili e soprattutto conosce ora una speranza di futuro. La nostra speranza , oggi, è che dal 26 aprile potremo applicare questo verbo in tutte le sue declinazioni e poi, magari, metterlo via, ovvero concedergli un bel po’ di meritato riposo.

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