L’io che non c’è

Se sentite di possedere un “io interiore”, qualcosa di vostro e vostro soltanto che vi identifica come persone e costituisce il nocciolo stesso del vostro essere, non preoccupatevi: siete in buona compagnia. Quasi tutti, di fatto, avvertiamo questa presenza, questo “qualcosa” indefinibile che mentre la nostra persona, negli anni, cambia (ingrassa, dimagrisce, scopre altri gusti, impara nuove cose e, magari, modifica le sue opinioni) resta sostanzialmente invariata: cambiare quel “qualcosa” significherebbe infatti cambiare noi stessi, al punto di diventare un’altra persona. È questo un sentire comune: dunque, come detto, non c’è nulla di strano se anche voi coltivate una convinta sensazione di“io interiore”. Ciò non toglie che, secondo gli psicologi, siate in errore.

Non c’è nulla, dicono costoro, che provi l’esistenza di un nucleo solido di “informazioni psicologiche” che costituisca il nostro “vero io”. Siamo noi a crearne una proiezione, identificandolo di solito con una serie di valori morali che consideriamo non negoziabili. Che però questa “fabbricazione” sia aleatoria lo dimostra il fatto che quando vediamo qualcuno, identificato come “cattivo”, mostrare finalmente buoni sentimenti, salutiamo lo svelarsi del suo “vero io”, mentre il contrario - il “buono” che agisce da “cattivo” - lo liquidiamo come un dettato delle circostanze. Ciò detto, gli psicologi consigliano di tenerci stretto comunque il nostro “vero io”. È niente, ma tutto ciò che abbiamo.

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