Mettere in piazza

Qualche buona notizia, a saperla cercare, ancora si trova. Ecco qua: «Torino riapre piazza San Carlo a un grande evento pubblico: la sindaca Chiara Appendino ha concesso il luogo, teatro dei disordini in occasione della finale di Champions, per l’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven».

Nella decisione di Chiara Appendino deve aver influito il fatto che i fan di Beethoven sono di solito considerati meno turbolenti di quelli del calcio, anche se gli effetti di un eventuale cocktail di birrette ed “Eroica” non sono mai stati ufficialmente testati. Non si segnalano episodi di bombe carta lanciate durante l’Inno alla Gioia e, nonostante la ben nota ostilità tra i tifosi del compositore di Bonn e quelli di Haydn, raramente le parti sono andate oltre lo striscione ironico e il pungente sfottò.

In ogni caso, è una buona notizia che l’importante piazza di Torino torni ad aprirsi a una manifestazione pubblica, in barba ai timori di incidenti, attentati e generica incompetenza amministrativa. È a scopo di aggregazione, d’altra parte, che le piazze sono nate, da un punto di vista sia urbanistico sia sociale. La piazza è luogo di politica, mercato, spettacolo e relazione. “Mettere in piazza” si dice poi di ciò che non può più essere sottratto al pubblico giudizio, neppure quando privato o imbarazzante. Oggi delle tante belle cose che una piazza può offrire rischiava di rimanere solo l’ultima. Una metafora triste, l’unica però mai intimorita dalle transenne della paura.

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