Pollice alzato

Leah Pearlman oggi disegna vignette di ispirazione buddista. Il suo sito “Dharma Comics” contiene più di 500 illustrazioni dedicate a una vasta gamma di emozioni: tra le altre amore, perdita, coraggio. Justin Rosenstein ha invece fondato una società di software - l’Asana - che produce un programma destinato migliorare la collaborazione nei gruppi di lavoro. Sia Pearlman sia Rosenstein sono approdati a occupazioni che tengono conto dello spirito e, anzi, cercano di proteggerlo e di coltivarlo, sia pure in modi diversi.

È legittimo pensare, data la loro precedente storia professionale, che attraverso queste occupazioni i due tendano a lenire una forma della stessa sindrome che colpì l’equipaggio dell’Enola Gay e diversi membri del Progetto Manhattan, quello che portò allo sviluppo della bomba atomica: il senso di inquietudine e di colpa provato da chi ha creato un mostro, anche se mosso da intenzioni onorevoli.

La nascita del “mostro” creato da Pearlman e Rosenstein risale al periodo in cui lavoravano entrambi per Facebook. Insieme, misero a punto il bottone “like” che caratterizza il popolare social network.

Una funzione nata per consentire agli utenti di apprezzare velocemente e senza sforzo (nello spirito dell’“user friendly”) i contenuti della piattaforma, ma diventata nel giro di pochi anni - è comparsa nel 2009 - un fenomeno antropologico, economico e di marketing. Il “like” è un mostriciattolo che ha creato nuovi obblighi sociali - con il relativo bagaglio di angoscia che ciò comporta -, indotto ansie e depressioni, creato dipendenze e incubato una forma veloce, ma muta e incompleta, di relazione umana. Non bastasse, il “like” è indicato quale responsabile del proliferare delle bufale in Rete. Poco meno della bomba atomica, dunque.

Oggi qualcuno - non solo Pearlman e Rosenstein - incomincia a rendersene conto. Basta scorrere la lunga analisi che “The Ringer” ha dedicato al pollicino alzato. Potete leggerla in Rete e, ovviamente, premiarla alla fine con un bel “like”.

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