Quel “remake”? Fin troppo realistico

Torna utile, a volte, avere una cultura un tantino “pop”, ovvero rastrellata qui e là, in buona parte anche grazie alla televisione; quella cultura, insomma, che passa indifferentemente da “Fuori orario” di Enrico Ghezzi a “Drive in” di Antonio Ricci.

È solo grazie a questa preparazione - per pudore non ci spingeremo a definirla “solida” - che davanti allo spettacolo del primo dibattito tra Donald Trump e Joe Biden ci sovviene un riferimento piuttosto calzante: il video del brano “Two tribes” dei Frankie Goes To Hollywood, anno di grazia 1984.

Si era naturalmente ancora in piena Guerra Fredda e il gruppo britannico pensò bene di rappresentare la politica internazionale come una scazzottata senza regole, condotta in un’arena tanto kitsch quanto precaria da Ronald Reagan e Konstantin Chernenko, i leader delle due superpotenze contrapposte, ovviamente impersonati da attori più o meno somiglianti.

Trentasei anni dopo si può ben immaginare come la baruffa verbale che ha opposto un Trump attaccato dal Covid e un Biden forse di natura già un poco bolso, non sia che la trasposizione nella realtà (o meglio, nella “reality”) di quel lontano incubo musicale. La farsa della Guerra Fredda è diventata la farsa della Democrazia al tempo dei social ma il canovaccio, con pochi ritocchi, è sempre quello. La differenza la fa il fatto che nell’arena non ci sono i sosia ma gli originali e questo aumenta l’eccitazione, dà il brivido del “vero” anche se di “vero”, a ben guardare, non c’è nulla, e nella sua dichiarata finzione, qualunque rappresentazione scenica, qualunque trama stesa a tavolino, è infinitamente più onesta e dunque “autentica”.

Messi a verbale tutti gli accidenti che il 2020 ci ha finora riservato, una delle chiavi di lettura della nuova condizione umana è proprio questa: dopo secoli in cui la fiction si è servita al banco della realtà, il rapporto si è finalmente rovesciato e ora è la realtà a modellare se stessa su copioni non di rado concepiti per strappare reazioni - siano esse di riso, di pianto o di terrore - a un pubblico certamente pagante, anche se non proprio di sua volontà. Converrà tenere a mente che in tanti anni scrittori e sceneggiatori si sono messi d’impegno per far lavorare l’immaginazione e, nonostante si voglia che questa superi sempre la realtà, hanno prodotto intrecci i quali, dovessero mai passare dalla finzione alla cronaca, ci offrirebbero motivi di seria preoccupazione. Insomma, pare proprio che il concetto di “remake” vada assumendo un significato tutto nuovo. Solo passando in rassegna libri e dvd sullo scaffale c’è di che angustiarsi: magari ci toccherà una riedizione realistica degli “Uccelli” di Hitchcock o della “Guerra dei mondi” di Wells.

Chissà: staremo a vedere e comunque, come diceva qualcuno che presto potrebbe uscire dallo schermo e schierarsi tra noi, «domani è un altro giorno».

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