Quelle grandi opere della signora Shakespeare

E se Shakespeare fosse (stato) una donna? I dubbi sull’identità del grande poeta e drammaturgo inglese sono vecchi quanto le sue opere: oggi, semplicemente, si avviano per una strada nuova, quella, diciamo così, dell’alternativa di genere. Il dubbio lo insinua una giornalista del Wall Street Journal, Elizabeth Winkler, che in un lungo e appassionato intervento su The Atlantic suggerisce appunto come il buon William fosse in realtà... una buona William.

Alt, però: cerchiamo di essere precisi. Per la verità di dubbi sull’esistenza di William Shakespeare non ce ne sono affatto: la sua vita è anzi parecchio documentata. Sappiamo che fu attore, impresario teatrale, prestasoldi e altro ancora. Manca però la certezza che fosse anche scrittore. Shakespeare è l’autore di “Amleto” come delle “Allegre comari di Windsor” perché, in un certo senso, così si vuole, perché testi e sonetti sono sempre stati attribuiti a lui: di prove provate, va detto, non ce ne sono.

Tanto è vero che la discussione su chi sia il vero autore di quell’eccezionale patrimonio letterario affonda nel passato remoto. Di volta in volta, si è sostenuto che il vero Shakespeare fosse Francis Bacon, Christopher Marlowe, Edward de Vere. Elizabeth Winkler si fa avanti ora per perorare la causa di Emilia Bassano.

Nata a Londra nel 1569 da una famiglia, probabilmente ebrea, di immigrati veneziani, Emilia ebbe in vita l’onore, allora raro per una donna, di veder pubblicare un libro di poesie a suo nome: un testo debitamente religioso ma anche senza timidezze proto-femministe, lampante nel denunciare l’oppressione esercitata dagli uomini sulle donne. Ma perché candidare proprio lei a reggere la penna di Shakesperare? Al di là delle coincidenze storiche e anagrafiche, sono quelle letterarie che fanno pensare. Winkler ricorda un commento di Borges: «Ho sempre trovato qualcosa di italiano e qualcosa di ebreo in Shakespeare: forse gli inglesi lo amano perché è così diverso da loro».

La candidatura di Emilia spiegherebbe la sensazione di una mente colta e sensibilissima quale quella di Borges. Spiegherebbe anche la conoscenza delle città italiane esibita dal drammaturgo in tante opere e, soprattutto, la straordinaria galleria di personaggi femminili creati dalla sua immaginazione.

John Ruskin ebbe a dire che «in Shakespeare ci sono solo eroine, e nessun eroe» e certamente, se mettiamo per in momento da parte tutti i Riccardo III e gli Amleto che attori (maschi ma anche abbondantemente primedonne) ci hanno imposto negli anni, non è difficile evocare i contorni di Lady Macbeth, Desdemona, Cordelia, Viola e, naturalmente, Giulietta.

Posto che l’enigma di attribuzione proposto da Elizabeth Winkler, per quanto interessante, è probabilmente irrisolvibile, rimane da chiedersi che cosa cambierebbe nella nostra percezione delle opere di Shakespeare se davvero venissimo a sapere che sono dovute a una donna. Ma ancora più interessante è chiedersi cosa potremmo pensare se scoprissimo che, in generale, la storia dell’arte, della letteratura e addirittura del mondo è più femminile di quel che pensiamo.

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