Resterà una sola Venezia: quella artificiale

Venezia, più che una città, è un’opinione. Per farvi un’idea di che cosa questo nome celeberrimo susciti nelle menti e nei cuori del mondo fatevi un giro su Internet, magari partendo da Google, nella cui stringa di ricerca scriverete, con diligenza, “The Venetian Las Vegas (o Macao)”.

Non dubito che proverete un forte raccapriccio: le immagini della Rete vi rimanderanno una versione di Venezia ricreata in due lontani angoli del mondo: resort e casinò modellati sulle inconfondibili architetture lagunari.

Si tratta di versioni distorte, kitsch, perfino allucinate. Sui canali artificiali pieni di acqua clorata e solcati da gondole che sembrano appena uscite dal concessionario, si affacciano riproduzioni di palazzi storici risplendenti di un nitore asettico che gli originali non hanno mai conosciuto, neppure nei primi mesi della loro costruzione.

Questa è l’idea che il mondo ha di Venezia: un’approssimazione che nulla conosce e nulla rimanda della vera città, che non sa niente di Tintoretto e di Tiziano, di Tiepolo e di Vivaldi. È una città che ha lo spessore di una cartolina, ma tanto basta per spacciare folklore, originalità, stile. Tra l’altro, è una Venezia in cui l’acqua rimane rigidamente al posto assegnatole, in cui i muri non crollano e gli affreschi non si sbiadiscono e, qualora si sbiadissero, basterebbe chiamare la manutenzione per sostituirli al volo.

È una Venezia con l’aria condizionata, il servizio in camera, la tv col canale a luci rosse, la security e la spa dove, volendo, ci si può far massaggiare a sfinimento, mentre di estenuante, nella Venezia reale, c’è solo il vergognoso tormentone del Mose.

Ci sono tante cose di cui un Paese - a cominciare dai suoi governanti, è ovvio, ma i singoli cittadini non sono esenti da responsabilità -, dovrebbe occuparsi con costanza e regolarità, ma da queste parti la tutela di Venezia dovrebbe essere sempre in primo piano. Da qualche giorno a questa parte, invece, abbiamo imparato che vivevamo nell’ignoranza di un problema imminente e nell’ignavia più colpevole circa le soluzioni adatte per arginarlo.

Non è neppure pensabile che chi è di fatto custode di un tesoro tanto unico e inestimabile, possa distrarsi per un attimo, tanto peggio per decenni e decenni. Invece, è accaduto: e Venezia non è il solo esempio.

Un’enorme quantità di tesori dell’arte e della storia - Pompei su tutti - giace abbandonata ai lati delle strade, come immondizia, come materiale amorfo di cui, a causa dell’impreparazione scolastica e della fretta esistenziale, nessuno sa più cogliere il valore, e non solo quello economico, ma perfino quello, più importante, di struttura portante per una cultura che poi, dai palchi dei comizi più carichi di grezza retorica, qualcuno assicura di voler difendere da nemici di comodo.

Il problema è nostro e solo nostro perché il resto del mondo, purtroppo, perduta la vera Venezia, finirà per accontentarsi di quella artificiale, che rimanderà ai posteri solo la caricatura di una gloria svanita,ma soprattutto si staglierà come eterna beffa sulle coscienze di chi non ha saputo proteggerla.

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