Se dietro al Covid non è rimasto niente

Davanti a tutto c’è il Covid. Subito dopo vengono le notizie che riguardano il Covid: in particolare i numeri (contagiati, percentuali, ricoveri gravi e meno gravi, tamponi, dimessi e infine i morti) e i bollettini dal fronte ospedaliero. Dietro, ecco le informazioni sui provvedimenti per arginare l’epidemia: coprifuoco, mascherine, chiusure, multe. Queste informazioni si portano appresso a loro volta le notizie su richieste di chiarimenti, pressioni di categoria, mobilitazioni dei genitori, petizioni, proteste e, ben al di là di tutto, perfino sulla guerriglia nelle strade di Napoli. A seguire, si estende la palude delle opinioni: virologi a confronto e più spesso contro, autorità riconosciute di varia natura e ispirazione, intellettuali, giornalisti, perfino comici con un grande avvenire dietro le spalle. Sullo sfondo, un po’ opaca, la vetrina della scienza che ogni giorno pesca dai notiziari specializzati per offrire la sua merce. Come va la sperimentazione del vaccino di Oxford? È vero che il virus si può curare con il plasma? Ma gli asintomatici sono gente come noi?

Dietro ancora, indistinta e brutale, la paura, ovvero l’inquietudine multiforme, che non sta mai ferma: si manifesta d’un tratto come timore per la nostra salute e per quella dei nostri cari, poi come incubo per la libertà perduta e come preoccupazione per il futuro, in termini economici, lavorativi, professionali.

E dietro tutto questo? Niente, non c’è rimasto niente. Il Covid si è preso tutto, capace com’è di infiltrarsi nei polmoni quanto nei pensieri, nella carne così come nella psiche. Rimane, forse, qualche distrazione. Una partita di calcio vista in tv, ecco, con le telecamere in cerca di presenze umane in stadi che rimbombano delle grida lanciate dai calciatori, figure che sembrano cercarsi le une con le altre per vincere la solitudine ancor prima della partita. Rimangono i libri, la musica, i film e gli spettacoli in quelle sale che, coraggiosamente, a prezzo dell’emorragia di posti a sedere e di biglietti venduti, rimangono (rimanevano) aperte. Ci sono i familiari, i parenti, i colleghi e gli amici con cui scambiarsi impressioni e incoraggiamenti e addirittura, in uno sforzo supremo, cercare di parlar d’altro. Ma si tratta di distrazioni, brevi isole emerse dai flutti del Covid, inteso come preoccupazione dominante, che, nel giro di qualche ora o perfino di qualche minuto, vengono sommerse e scompaiono.

In questo senso possiamo già dirci tutti malati di Covid, perché laddove non può far soffrire il corpo, esso arriva comunque a tormentare la mente. Guarire significherà tornare a respirare e pensare in autonomia, a farci prigionieri di ossessioni personali e dolori che avremo raccolto da noi stessi, senza che nulla ci venga imposto da un vento che spira troppo forte per le nostre forze.

Solo allora sapremo che cosa è la libertà di cui troppo spesso blateriamo in queste ore e - chissà? - potremo anche aver imparato a non lasciarci più travolgere da spauracchi di terza mano e secondi fini.

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