Senza esagerare

Sento parlare di ricostruzione e penso: non esageriamo. Non vuol essere una battuta (se lo fosse, sarebbe di cattivo gusto), quanto un semplice invito a contenere nel giusto slanci e promesse.

Lo sforzo – inutile, ma onesto – è di mettersi nei panni di chi, nel terremoto, ha perduto tutto: casa, averi e, in molti casi, affetti. In questo momento si trova nella tendopoli, le spalle avvolte in una coperta, mentre intorno alla sua testa ronzano parole astratte: misure antisismiche, “new town”, tecnologie all’avanguardia, classi di rischio, mappature idrogeologiche, investimenti pluriennali, fondi europei, detrazioni fiscali. Lui (o lei) si chiede invece chi gli darà un pasto questa sera e fino a quando dovrà dormire su una branda. Non perché spera che la branda si trasformi magicamente in un castello o, meglio ancora, nella sua vecchia casa risorta dalle macerie; piuttosto, perché si è adattato alla necessità di vivere giorno per giorno, stringendo i denti, avanzando l’unica pretesa, modesta ma sostanziale, che ogni ora porti con sé una parte, anche minuscola, di miglioramento.

Mi pare che sia proprio questo l’obiettivo al quale dovrebbe tendere una nazione seria, amministrata da uno Stato consapevole della sua funzione. Punterebbe ad assicurarsi che non passi giorno senza che i feriti e gli sfollati non guadagnino terreno, almeno un poco, verso il traguardo ultimo del ritorno alla normalità. Noi tutti, invece, accorriamo ad affollare i forum dove si tengono i dibattiti “importanti”, quelli in cui si progettano pianificazioni quasi aliene: quando la realtà è infranta, troviamo rifugio nell’elevata astrazione. Camminiamo su cocci ancora instabili vagheggiando un Paese a prova, letteralmente, di sconquassi.

Il mio augurio è che ci si arrivi, a questo dibattito, quando sarà davvero possibile tradurlo in opere concrete. Le esperienze passate dicono purtroppo il contrario: durante l’emergenza parliamo di misure definitive; quando invece sarà il momento di consolidare l’ordinario, ci accapiglieremo su ridicole urgenze.

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